«Gli eroi si stufano». Forse è già tardi, ma se la politica non mente quando dice che vuole ascoltare la gente, allora bisogna ripartire da loro: da quelli che chiamavamo “eroi”. Li chiamavano così soprattutto i politici. Due anni e mezzo sono passati e molte cose non sono successe. Richieste inevase, promesse che galleggiano. E la gratitudine, si sa: il sentimento del giorno prima. «Gli eroi si stufano », dice Luca Lorini. Una chiosa affilata come una lama, il velo che scopre l’impudicizia dell’opportunismo.
Lorini è il direttore dell’Unità di anestesia e rianimazione dell’ospedale Papa Giovanni XXIII: l’ospedale che, nella prima ondata del virus — quella devastante di febbraio-marzo-aprile 2020 — è stato la prima trincea del fronte. «Si sì, eroi… E poi? Quando siamo usciti dalla fase più critica della pandemia i politici ci hanno chiesto di cosa abbiamo bisogno. Glielo abbiamo detto, lo abbiamo scritto. Ci vuole una macchina adeguata, perché il Covid ci ha insegnato che gli eroi, volendo, ci sono: è la macchina, che manca. Posti di rianimazione, intensivi, sub-intensivi, infermieri, macchinari. La politica faccia, senza più promettere. I soldi ci sono, il Pnrr deve essere orientato in questa direzione perché la priorità di un Paese evoluto è una sanità organizzata. Invece avere mandato a casa Draghi in un momento incui l’Italia si stava riprendendo è stato un atto sciagurato». E dopo il 25 settembre, che succede? «Spero che i politici capiscano quello che noi ripetiamo da tempo: siamo proiettati in un mondo in cui si stanno producendo dei virus molto resistenti. Questi virus producono delle tossine che li rendono non aggredibili dagli antibiotici. Ci troveremmo come nell’era pre-antibiotica. Dunque niente propaganda ma fatti: ricerca, mezzi, strutture».
La medicina e la politica. Pianeti vicini (le nomine, ad esempio) eppure distanti che di più non si può. Due mondi riassumibili così, nell’estate 2022: la gestione dell’emergenza, da una parte, e la narrazione sempre più social e confusa, dall’altra. Il mondo delle corsie, delle sale operatorie, dei doppi e tripli turni, dei famigerati caschi Cpap; della ventilazione polmonare, dei cadaveri portati al forno crematorio al collasso e da lì sui camion militari e tutte le immagini che, dalla pancia del gigantesco ospedale di Bergamo, hanno scavato una ferita profonda nella città. Sara Cattaneo è infermiera in Terapia intensiva cardiochirurgica. «Vogliamo che rispettino il nostro lavoro non solo in tempi di pandemia. Vogliamo che i nostri stipendi siano equiparati agli standard di altri Paesi europei. E che la politica rilanci la sanità pubblica, da 20 anni compressa in favore di quella privata».
Bianco è il colore dei camici. Bianco è — tradizionalmente — il colore del sentimento politico a Bergamo. Un territorio, in verità, bicolore. La città è governata da un centrosinistra né lontano né sgradito al potere economico e finanziario. La provincia — un tempo si sarebbe chiamata “contado”, dalle valli alla Bassa — storicamente in mano alla Lega. Ma al netto di migliaia di vite falciate dal virus — le stime accreditate da molti amministratori parlano di oltre 10 mila morti nel periodo nero — la domanda è: nei reparti del Papa Giovanni XXIII quanto e come si pensa alla politica che verrà? «Sono fiduciosa— spiega Simonetta Cesa, responsabile Direzione professioni sanitarie e sociali — Mi sembra che l’insegnamento del Covid abbia smosso. L’investimento sulla medicina territoriale è in corso. Mi aspetto che i fondi a disposizione vengano ben coniugati con le idee». Angela Vavassori è meno ottimista. È stata caposala per molti anni, è andata in pensione qualche mese prima che arrivasse il Covid. Ed è stata richiamata in servizio per le vaccinazioni, «da gennaio 2021 fino a marzo 2022». Ha organizzato il laboratorio per le vaccinazioni ai dipendenti dell’ospedale e contribuito all’apertura dell’ospedale da campo alla Fiera di Bergamo. «La politica scenda un po’ in basso e avvicini la sanità alla gente, soprattutto a chi ha meno. Mi sembra che i politici di oggi — anche a livello locale — conoscano poco i bisogni delle persone e che in Lombardia abbiano arricchito soprattutto i privati. Le prossime elezioni? Sono disillusa. Ho sempre votato centrosinistra, ma se devo valutare l’attenzione che ci è stata dedicata, mi metto le mani nei capelli».
Fermiamo un’immagine. Il nome di Elena Pagliarini non vi dirà nulla. Ma il suo capo chino sulla scrivania — si era addormentata dopo un turno massacrante e immortalata da una collega l’8 marzo a Cremona — è una delle foto simbolo del Covid. Come la colonna dei camion dell’esercito con le bare. Ecco: al Papa Giovanni XXIII di medici e infermieri che hanno fatto turni da schiantare un rinoceronte se ne contano a decine. Una è Renata Colombi, responsabile del Pronto soccorso. «Durante la prima ondata accoglievamo in media 200-250 pazienti al giorno: tutti bisognosi di ossigeno». Se hai fronteggiato un’onda di piena così che cosa puoi chiedere ai politici? «Ci ascoltassero e prendessero decisioni insieme a noi. Perché le scelte che hanno fatto fino ad ora si sono dimostrate disastrose a tal punto da distruggere il sistema sanitario». L’ultima riflessione è di Stefania Ferrari, medico in Patologia neonatale dove c’è stato il record di neonati figli di madri positive. «Da un lato sono pessimista, dall’altro voglio ancora credere che gli italiani — dopo Covid, guerra, ambiente — votino in modo ancora più consapevole. Chi andrà al governo spero non ignori per l’ennesima volta i problemi della sanità, ma li metta in cima all’agenda».
Paolo Berizzi, Repubblica