Milioni di bottiglie di un liquore multicolor, che sfrutta il nome e la fama del tradizionale prodotto italiano ma che ha caratteristiche completamente diverse, vengono esportate nel mercato europeo, soprattutto britannico. Tra i produttori anche aziende di casa nostra
Alla fragola, alla banana, alla menta o alla liquirizia. Un caleidoscopio di colori, dal rosso al verde, dall’azzurro al nero. Milioni di bottiglie di sambuca colorata hanno invaso il mercato europeo, soprattutto britannico. Liquori fasulli, che del tradizionale prodotto all’anice tipicamente made in Italy e rigorosamente incolore sfruttano solo il nome.
Dopo lo scandalo dei vini in polvere, i cosiddetti “wine kit” per farsi a casa il Barolo o il Chianti,almeno 11 aziende localizzate in Italia, Spagna, Regno Unito e Sud Africa hanno messo sul mercato a prezzi abbordabilissimi una nuova bevanda, colorata e senza anice, spacciandola per Sambuca. Con risvolti sociali ancor più gravi, poiché il target di consumo di queste bottiglie di alcol piene di additivi e coloranti, che non hanno nemmeno l’ombra del contenuto di frutta promesso in etichetta, è quello dei giovani, con velleità di ‘binge drinking’, l’ubriacatura rapida tanto in voga, detta da noi anche “shottino” nel gergo giovanile.
Bicchierini di superalcolici dei diversi colori tutti in fila e via, alla rincorsa della gran botta che talora sconfina in coma etilico, sempre comunque dannosa per fegato e cervello. Il modello di consumo esattamente opposto alla vera Sambuca, il cui marcato sapore di anice stellato ne rende pressoché impossibile un consumo superiore al ‘cicchetto’ dopo il caffè a fine pasto, come nell’antica tradizione.
Sambuca fuorilegge. Le bottiglie di pseudo-sambuca che circolano in Europa sono “non conformi”, ossia fuorilegge. Perché c’è un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, il n. 110 del 15 gennaio 2008, che consente l’uso della denominazione “Sambuca” solo per le bevande alcoliche rigorosamente incolori, con un tenore naturale di anetolo compreso tra 1 e 2 grammi per litro e una gradazione alcolica del 38%. Dal “parmesao” al “cambozola”, di falsi prodotti made in Italy ce ne sono moltissimi in circolazione all’estero, fabbricati da aziende straniere, come denuncia Coldiretti. Ma in questa vicenda tra gli artefici della truffa ci sono anche distillerie di casa nostra. Complice la crisi, stavolta è il made in Italy che falsifica se stesso, ad uso e consumo del mercato. Gettando discredito su un liquore tipico, inventato a Civitavecchia da Luigi Manzi nel 1851, che è il più venduto in Italia e il più esportato nel mondo.
Tutti sanno, ma intervengono solo i Nas. Tutti sanno della frode, ma nessuno finora è intervenuto per arginare il fenomeno, eccetto i Nas, i carabinieri del Nucleo antisofisticazione, che hanno fatto di recente i primi sequestri a Torino. IlMipaaf, il nostro ministero delle Politiche Agricole, ne è al corrente. Lo sa anche la Federvini, l’associazione di Confindustria che riunisce tutte le imprese vinicole e di distillati, ma minimizza. In Europa, il commissario all’Agricoltura ha risposto a due interrogazioni parlamentari assicurando interventi. Ne è informato anche il ministero dell’Agricoltura britannico, visto che l’Uk è uno dei principali paesi importatori della falsa sambuca. Eppure le annunciate azioni disciplinari contro i distillatori truffaldini non si sono ancora viste.
Le prime denunce e la risposta dell’Ue. Il primo a denunciare il fenomeno delle sambuche colorate è l’eurodeputato della Lega Nord Giancarlo Scottà, con un’interrogazione presentata lo scorso aprile a cui il commissario all’Agricoltura Dacian Ciolos risponde impegnandosi a chiedere notizie agli Stati membri. “Sto ancora aspettando per capire se la Commissione interverrà o no – ci spiega Scottà – . La segnalazione del fenomeno mi sembrava doverosa, io ho agito in autonomia. Vediamo se la mia iniziativa avrà degli effetti e se questi effetti si tradurranno in azioni”.
Qualche mese dopo, a giugno 2013, un’altra eurodeputata della Lega, Mara Bizzotto, rivolge al Parlamento Ue un’altra interrogazione, pressoché identica a quella di Scottà. E riceve una risposta da Ciolos che non lascia adito a dubbi: “La definizione della categoria ‘sambuca’, di cui al punto 38 del regolamento CE 110/2008 (…) contiene una disposizione specifica in base alla quale la ‘sambuca’ è un liquore incolore aromatizzato all’anice. Di conseguenza, l’assenza di ingredienti coloranti è uno dei requisiti essenziali per la conformità del prodotto alla definizione di sambuca”. Il commissario europeo all’Agricoltura assicura poi che la Commissione sta esaminando la documentazione disponibile riguardo alle sambuche taroccate e ribadisce che “gli stati membri sono comunque responsabili del controllo delle bevande spiritose e dell’adozione delle misure necessarie a garantire la loro conformità alle norme dell’Ue”.
Intanto in Gran Bretagna… Frattanto il Defra (il ministero dell’Agricoltura britannico) dirama un paio di circolari, a luglio e a settembre 2013, in cui dà notizia del commercio illegale di sambuche contraffatte – chiaramente distinguibili in virtù del colore – alle autorità di controllo sul territorio britannico. L’obiettivo è limitare il commercio e ribadire il rispetto del regolamento che prevede oltre al colore bianco, anche il livello del grado alcolico minimo e il contenuto di anetolo, come specifica il regolamento Ue. Abbiamo provato a chiedere ragguagli anche al British Retail Consortium, l’associazione per il commercio al dettaglio in Uk che ha fornito attestati di qualità proprio alle aziende che producono le sambuche colorate. Ma non abbiamo ottenuto risposta.
In Italia. Da noi, come già accennato, il ministero delle Politiche agricole viene interessato dalla vicenda dalla Bertagni Consulting, che ha realizzato il dossier “Sambuca comme il faut” per conto di Molinari, massimo produttore in Italia del liquore originale (che non a caso in questi giorni ha lanciato lo spot che coinvolge Josè Mourinho. L’allenatore del Chelsea, per l’occasione, diventa “The trasparent one”, a rimarcare che la caratteristica principale del liquore è il suo essere ‘incolore’). Nella ricerca viene individuata la lista completa delle aziende, degli importatori e dei distributori specializzati nella commercializzazione della finta sambuca. Il ministero risponde per iscritto ribadendo che le sambuche colorate sono “non conformi”. Ma non si ha notizia di alcuna attività da parte dell’Ispettorato repressione frodi. Abbiamo sollecitato il ministero a fornirci informazioni sulla vicenda, ma a tutt’oggi non ci ha ancora risposto.
I Nas di Torino invece si danno presto da fare e realizzano i primi sequestrinella città sabauda, trasmettendo notizia di reato per il delitto di frode in commercio nei confronti di tre aziende italiane. Il fascicolo torinese viene aperto dai pm Raffaele Guariniello e Alessandro Aghemo.
Federvini, come dicevamo, ridimensiona la questione. Il direttore dell’associazione di categoria, Ottavio Cagiano de Azevedo, minimizza e ne fa un problema di etichetta: “Non bisogna preoccuparsi, è solo una discussione sulle modalità di etichettatura del prodotto. Questi liquori sono legittimi, sono fatti in conformità della legge e di ciò che prevede il regolamento europeo a tutela della sambuca, che evidentemente è un patrimonio riconducibile all’Italia ma purtroppo non è un nome riservato solo al nostro Paese. Voglio dire che, rispettando i parametri, la sambuca si può produrre in qualsiasi stato dell’Ue. E’ una denominazione generica, non un’indicazione geografica protetta, come ad esempio la grappa”.
Cagiano accenna poi alla questione dei prodotti composti, “quelli fatti cioè a base di grappa, whisky o brandy, gin o rum e quindi anche sambuca – continua il direttore di Federvini – Per questi casi è stato proposto un regolamento Ue di chiarimento, perché stavano nascendo litigi dappertutto. Alcune delle etichette contestate in Italia, ad esempio, in Uk vengono riconosciute come corrette e legittime. Del resto il mercato britannico è tra quelli che apprezzano di più i prodotti in miscela”. Quindi non c’è nessuna frode? “No – conclude Cagiano – almeno per quello che io conosco. Mi auguro che non ci sia di mezzo la frode. Il problema di etichettatura dovrebbe essere stato risolto con le nuove regole europee e speriamo che adesso tutto si appiani”.
Le dichiarazioni di Federvini lasciano in noi qualche perplessità e una domanda: sarà un caso che il principale produttore italiano di sambuche colorate è anche il presidente della associazione di categoria? Marco Bertagni, ad della già citata Bertagni Consulting, ci offre qualche chiarimento: “Qui siamo di fronte a una chiara violazione del regolamento 110-2008 che prevede, tra i requisiti fondamentali della sambuca l’assenza di colorazione. Federvini tenta di rimandare la soluzione del problema a quando sarà in vigore il regolamento sui termini composti nel 2015, ma anche lasciando stare la questione lessicale, attualmente sono in circolazione sambuche che non hanno nessun termine a fianco e questo è palesemente irregolare. Oltretutto- continua Bertagni- il ministero dell’Agricoltura inglese è stato chiaro: sotto il profilo tecnico ha inizialmente specificato che la sambuca deve essere incolore e che può essere aromatizzata ma solo se rimane incolore; se il prodotto non rispetta uno o più requisiti di legge deve esser chiamato ‘spirit drink’. In seguito il Defra harinforzato la posizione tecnica con argomentazioni legate alla trasparenza nei confronti del consumatore, ratio del Regolamento 110-2008. Regolamento che in questa vicenda è diventato palese oggetto di interpretazioni fantasiose, capziose e strumentali da parte di chi, per vendere di più, è disposto a favorire consumi d’istinto e massivi di bevande alcoliche non meglio identificate, sfruttando un liquore prestigioso e tradizionale e stravolgendone immagine e sostanza”.
Repubblica – 23 dicembre 2013