La Stampa- «Il medico mi prescrive una Pet urgente per un sospetto tumore al seno. Allarmata chiamo il centralino della regione ma nessuna struttura era disponibile». Allora Marina Repetti fa una nuova richiesta accettando anche di allungare un po’ i tempi di attesa, «ma il risultato è stato che il primo appuntamento era a marzo del 2024. Così davanti alla paura sono andata dal privato pagando 900 euro». Ida aveva un problema meno urgente, un intervento chirurgico ad entrambi i piedi. «Per il primo appuntamento ho aspettato dal 2019 al 2022. Per l’intervento sull’altro piede la risposta del Cup è stata giugno 2026…sono rimasta senza parole». E nella rinomata sanità lombarda, che davanti alle liste d’attesa sembra affogare come le altre anche il privato inizia a non farcela più. «Ho contattato una clinica convenzionata per fare privatamente un’ecografia alla tiroide e l’appuntamento mi è stato fissato a novembre. Posso immaginare quale sarebbe stata la risposta nel pubblico», racconta Giuseppina Bissi.
Storie per niente eccezionali come documentano i tempi di attesa rilevati per noi dalla sezione lombarda di Cittadinanzattiva. «Il tempo medio per una visita dall’otorino è 8 mesi, per quella ginecologica 6, mentre per effettuare una Tac o una risonanza si sta intorno ai 4 mesi» è l’agenda dei ritardi snocciolata da Giorgio Arca, coordinatore sanità dell’associazione per la Lombardia. «Per un intervento di asportazione di un tumore ovarico anziché 30 giorni come da richiesta medica si è arrivati ad attenderne il doppio al Policlinico di Milano, mentre sempre nel capoluogo il tempo di attesa per l’intervento alla cataratta è arrivato a un anno», prosegue Arca.
Del resto l’arretrato lombardo dopo la pandemia è una montagna dura da scalare. Secondo la regione da recuperare ci sono 210mila prestazioni ambulatoriali tra visite e analisi, oltre 100mila nella sola Milano.
Però negli ultimi mesi le cose stanno migliorando, vuoi per il piano di potenziamento dell’offerta messo in campo dalla Regione, vuoi anche per il sale sulla coda messo dalle associazioni dei pazienti alle Ast, come si chiamano in Lombardia le Asl. «Un ruolo chiave lo hanno avuto i Rua, ossia i responsabili unici delle aziende per la verifica dei tempi di attesa. Siamo andati ad attivarli ogni volta che ci veniva segnalata una criticità e loro hanno risolto. Anche a costo di ricorrere al privato non convenzionato senza costi per l’assistito, come la legge consente quando il pubblico non rispetta i tempi massimi di attesa previsti dalla stessa normativa nazionale», rivela sempre Arca. Come dire che mancheranno anche medici e tecnici sanitari, sarà pur vero che i macchinari sono a volte obsoleti e vanno fuori uso, «ma spesso dietro i tempi chilometrici di attesa c’è anche tanta cattiva organizzazione», ammette il responsabile Lombardia di Cittadinanzattiva.
La Regione da parte sua ha: esteso le prestazioni specialistiche e ambulatoriali di diagnostica; attivato una regia per le agende non sempre, soprattutto quelle del privato, messe a piena disposizione del Cup regionale; ha incentivato medici e operatori sanitari in genere per incrementare l’offerta. Il risultato è che per gli esami contrassegnati nella ricetta con la lettera B, ossia quelli da effettuarsi entro 10 giorni, la percentuale di chi è rientrato entro il termine è salita dal 49 al 55%, mentre quelli con priorità D, da garantire entro 30 giorni, sono migliorati di nove punti percentuali, passando dal 45 al 54%. Ma a far discutere sono due delibere regionali, la 5883 e la 6255 rispettivamente di gennaio e aprile 2022. La prima delibera ha previsto un meccanismo di premi e sanzioni in funzione del fatto che gli ospedali rispettino o meno i tempi di attesa per gli interventi chirurgici in oncologia. La successiva delibera ha esteso lo stesso bonus-malus per prime visite e accertamenti diagnostici. A finire maggiormente penalizzati (a detta di uno studio dell’Istituto Bruno Leoni) sono stati i 10 ospedali più specializzati, quelli a cui si rivolge il maggior numero di cittadini, tanto da erogare il 61% delle prestazioni. Ma chi vede più pazienti, ad esempio in oncologia, ha anche il minor tasso di mortalità post-intervento: l’1,72% contro la media del 2,24% degli altri 58 ospedali lombardi ai quali restano le briciole del 38% degli interventi eseguiti al di fuori dei super-ospedali specializzati. Solo che ad essere penalizzati sono stati proprio questi ultimi. Paradossi di un sistema da rivedere. —