«Se in Italia si facesse pasta solo con grano italiano, se ne produrrebbe il 30-40% in meno. E sarebbe un autogol per il Paese». Per Paolo Barilla, vicepresidente dell’azienda di famiglia, non solo il grano italiano non basta, ma non è neanche di qualità adeguata perché «solo il 10% del grano è eccellente, il 50% è di qualità media e il 40% è insufficiente a garantire la qualità di purezza e contenuto proteico richiesti per la pasta. Per questo i pastai non lo vogliono. E per questo, per noi, il decreto sull’etichettatura è una forzatura, perché in un certo senso ci impone di utilizzare quel grano».
Si spiega così la decisione dell’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi) di presentare ricorso al Tar del Lazio (con segnalazione alla Commissione europea) contro il decreto dei ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo economico Carlo Calenda per l’obbligo di indicazione della materia prima per la pasta da febbraio 2018. «Lo abbiamo rigettato — aggiunge Barilla a margine della presentazione della Giornata mondiale della pasta del 25 ottobre — perché è fatto male, non è per la trasparenza e non è di stimolo a migliorare la qualità. E a chi dice che compriamo grano straniero per risparmiare, dico che quello statunitense costa fino al doppio».
Chi lo dice, da tempo, è la Coldiretti. «Siamo certi che — è evidenziato in una nota dell’associazione — la magistratura potrà ben valutare il primato degli interessi dell’informazione dei cittadini su quelli economici e commerciali. Ancora una volta la rappresentanza industriale dei pastai preferisce agire nell’ambiguità contro gli interessi dell’Italia e degli italiani che chiedono trasparenza. Si vuole impedire ai consumatori di conoscere la verità privandoli di informazioni importanti come quella di sapere se nella pasta che si sta acquistando è presente o meno grano canadese trattato in preraccolta con il glifosato, accusato di essere cancerogeno e per questo proibito sul grano italiano».
«La Coldiretti ci sta infangando — la replica di Riccardo Felicetti, presidente di Aidepi — perché non è così». E Barilla spiega perché: «Quando si parla di glifosato, si parla sempre di tracce di glifosato, e non solo nel grano ma in diversi prodotti. Detto questo, bisogna anche sapere che si tratta di livelli bassissimi, dalle 100 alle 1.000 volte inferiori ai limiti di legge: bisognerebbe mangiare 200 chili di pasta al giorno per 365 giorni all’anno per avere degli effetti». Le conclusioni sono di Felicetti: «Il decreto è fatto male: non informa correttamente il consumatore, rischia di far credere che ciò che conta per una pasta di qualità è l’origine del grano. E non è vero. Il decreto non incentiva gli agricoltori a produrre grano di qualità e riduce la nostra competitività all’estero, perché introduce un obbligo che comporta costi aggiuntivi solo per noi e non per i nostri concorrenti. È una norma protezionistica che si applica solo ai produttori italiani».
Il Corriere della Sera – 19 ottobre 2017