Oggi le professioni sono sfruttate in tutti i modi, operano in contesti ostili e difficili, sono esposte al contenzioso legale, sono in conflitto tra loro, per cui il problema nuovo è come difenderle da tutto ciò e come metterle in condizioni di essere davvero delle professioni. Ma su tutte queste questioni i vari ddl di riordino dicono ben poco. In tanti mi hanno chiesto di chiarire il mio pensiero sulla riforma degli ordini. Qualcuno ha inoltre ritenuto inadeguato l’uso da parte mia del termine “corporazione” convinto probabilmente che “ordine” e “corporazione” abbiano significati diversi. Questo termine mi è stato suggerito dal diritto amministrativo che classifica gli enti pubblici in “corporazioni” e “istituzioni” cioè in persone giuridiche in cui prevale l’elemento personale (ordini, collegi, associazioni ecc), e in persone giuridiche in cui prevale l’elemento patrimoniale (per esempio gli istituti previdenziali).
Nella proposta di legge ad esempio Bianco/Silvestro e altri, ma anche in quella Lorenzin, si ribadisce per gli ordini la definizione di “ente pubblico non economico” quindi di “corporazione” .
Sul complesso delle proposte di riforma degli ordini sono perplesso nel senso che la questione, secondo me, è, in ogni testo che ho letto, sotto determinata. La riforma è necessaria ma come sbocco naturale di un ripensamento profondo dell’idea di “corporazione” e del suo rapporto con la società, lo Stato e tra professioni. Quali le aporie principali?
Mi sembra esagerato, l’uso diffuso del termine “riforma”. Nei vari testi si usa il termine “riordino” per cui non si riforma praticamente niente, ci si limita a riordinare l’esistente tanto per i medici che per gli infermieri. Viene ribadito “l’ente pubblico non economico” quindi la classica idea di corporazione, tant’è che il grosso delle proposte, riguarda i poteri, gli organismi, la loro composizione le modalità elettive, le cariche ecc .
In tutti i disegni di legge non è mai chiarito il presupposto in ragione del quale si devono riordinare ordini e collegi. Il dubbio che viene non è solo l’incapacità a contestualizzare i problemi delle professioni e semmai solo dopo quelli delle rappresentanze, ma quello di voler deliberatamente centrare l’attenzione sull’istituzione in se più che sui soggetti che essa dovrebbe tutelare. Si può tutelare una professione senza specificare e definire la professione in rapporto al suo tempo?
Nelle poche righe nelle quali si spiegano le finalità degli ordini i termini “autonomia professionale”, “conoscenze e competenze”, appaiono del tutto decontestualizzati. Il nostro tempo è quello in cui i maggiori problemi delle professioni nascono: 1) perché le loro autonomie sono ridiscusse da mille condizionamenti; 2) sono drammaticamente in conflitto tra loro; 3) sono considerate un problema e non una soluzione. Di quale ordine o collegio avremmo bisogno per impedire il depauperamento professionale?
Le questioni tipiche dell’ordinistica, albi a parte, quali le sanzioni e la deontologia, sono semplicemente ribadite rivelandosi così fuori dalla realtà. Oggi le professioni sono sfruttate in tutti i modi, operano in contesti ostili e difficili, sono esposte al contenzioso legale, sono in conflitto tra loro, per cui il problema nuovo è come difenderle da tutto ciò e come metterle in condizioni di essere davvero delle professioni.
La tutela delle professioni oggi non passa solo per la sanzione degli iscritti che contravvengono alle regole ma passa soprattutto per la sanzione nei confronti di chi abusa delle professioni impedendo loro di essere quello che sono. Ma per difendere gli abusati dagli abusanti è necessario definire una deontologia forte che garantisca una nuova idea di professione. Oggi l’elaborazione deontologica è molto scadente e degrada verso quello che altrove ho definito “il crepuscolo del dovere”.
In sintesi rispondendo e ringraziando i miei cortesi interlocutori:
· a me piacerebbe una riforma e non un semplice riordino, che oltrepassi l’idea di corporazione, e che costruisca gli strumenti normativi, per regolare, controllare, intervenire, affinché le professioni siano tali;
· non mi convince l’idea parastatale del vecchio ente pubblico non economico e meno che mai la gran voglia di dicasterismo che si coglie in tutte le proposte in circolazione. Ordini e collegi oggi sono troppo simili ai ministeri. Si tratta di sburocratizzare non di riburocratizzare;
· per ogni professione o per gruppi di professioni analoghe , prevederei una “agenzia per lo sviluppo della professione” con compiti chiari e autonomia piena. L’agenzia è un ente pubblico a cui sono attribuiti specifici incarichi che si differenzia dagli altri tipi di enti pubblici (compreso gli ordini e i collegi )perché svolge funzioni eminentemente operative. Con l’ agenzia l’asse si sposta da una vecchia idea di corporazione che tutela passivamente i valori della professione ad una idea nuova di company ,nel senso di una associazione ad azionariato diffuso , che sviluppa e garantisce attivamente i valori dei suoi associati;
· contemporaneamente creerei un “professional board ”, cioè un comitato valutario composto dai rappresentanti di tutte le agenzie professionali con un coordinatore e un apparato minimo, emanazione delle varie agenzie, per offrire a tutte le professioni un luogo di confronto, nel quale programmare linee di intervento comuni, deontologie comuni, affrontare le controversie e i conflitti tra professioni, esaminare le problematiche comuni a più professioni, come quelle delle équipe.
Infine sulla proposta di parificazione nominale tra ordini e collegi. Non riesco a comprenderne i vantaggi pratici dal momento che giuridicamente tra ordini e collegi non c’è nessuna differenza perché entrambi sono enti pubblici non economici. Sembra una operazione semplicemente di facciata ma che riguarda comunque professioni molto diverse, con percorsi formativi pure molto diversi, e con titoli di studi diversi. Personalmente preferirei evitare gli equivoci della propaganda ingannevole e puntare alla sostanza e cioè alla effettiva specificazione delle professioni nella logica dell’eguaglianza nelle differenze altrimenti detta “logica della pari dignità”. Ebbene l’idea di agenzia professionale e del professional board,consente ad ogni professione o a gruppi di professioni analoghe sia di organizzare le proprie tutele intorno alle proprie specificità sia di confrontarsi tra di loro evitando inutili appiattimenti nominali.
In conclusione: non si ha riforma se non si cambia la vecchia idea di corporazione. Le inadeguatezze le debolezze strutturali organizzative strategiche degli ordini e dei collegi, che traspaiono dalle loro proposte, oggi sono parte integrante del problema drammatico delle professioni. Per cui credo che ci sia un gran bisogno di idee nuove.
Ivan Cavicchi – Quotidiano sanità – 24 marzo 2014