Carenza di medici e allarme Lea nell’area internistica e di pronto soccorso, sono le (presunte?) motivazioni che vedono impegnata la Regione Veneto nel reclutamento di medici neolaureati privi della specializzazione nelle relative discipline. Le obiezioni giuridiche e professionali al pacchetto normativo deliberato il 14 agosto (e pubblicato sul Bur del 27 agosto) sono molteplici e in gran parte sono state esposte dall’Intersindacale veneta della dirigenza medica e sanitaria e, più recentemente, anche dalle società scientifiche interessate.
Torno qui su un aspetto che merita, a mio avviso, la giusta attenzione e che suscita non poco sconcerto. Il soggetto politico, la Giunta regionale in questo caso, sembra volersi sostituire agli ordinamenti scolastici stabiliti dalla legge nel determinare quale sia il fabbisogno formativo dei medici tale da creare competenze sufficienti a garantire sicurezza ed efficacia nell’erogazione delle cure ai pazienti critici e complessi del pronto soccorso e delle degenze internistiche. Si tratta di una scelta preoccupante che sembra avvalorare la teoria per cui governare equivale a disporre senza confronto alcuno.
Non solo, in un quadro come quello prefigurato la preparazione e le competenze rischiano di diventare una dimensione “interpretabile”, quasi si trattasse di semplici opinioni.
Abbiamo già conosciuto e contrastato la precarizzazione del lavoro e l’abuso di contratti atipici in passato nella sanità pubblica. Ma fino ad ora i contratti di lavoro autonomo hanno, magari, consentito di arginare il fabbisogno di personale medico cronicamente determinato dal blocco del turnover. Si era sempre evitato, però, di derogare al principio che la formazione specialistica fosse un fabbisogno imprescindibile di qualità e sicurezza nelle cure. Oggi questa barriera a tutela dell’assistenza dei pazienti rischia di cadere con conseguenze che si potrebbero rivelare drammatiche.
I vertici della sanità regionale hanno rassicurato a mezzo stampa spiegando che i medici neolaureati saranno impiegati per “situazioni non gravi o impattanti”, misconoscendo così la complessità e la gravità della patologia dei pazienti internistici e geriatrici accreditata dalla nosologia delle diagnosi. Sottovalutando di fatto il valore del diploma di specializzazione che prevede ben 5 anni di attività formativa teorico-pratica. A colpi di delibera si equipara una formazione specialistica di 5 anni con quella acquisibile in 92 ore di lezioni frontali e due mesi di pratica tutorata. Ma tutorata da chi, ci chiediamo? Da medici usurati, in burnout, demotivati, sovraccarichi di lavoro e i obiettivi prestazionali? Motivati con il diktat “sono tenuti”?!
Ancora una volta si percepisce la distanza tra la politica e la realtà operativa che richiede competenze, esperienza e responsabilità per garantire quella qualità delle cure che hanno consentito al servizio sanitario regionale veneto di diventare benchmark. Una politica così lontana dalla realtà operativa che pensa di risolvere con una frettolosa delibera un problema ormai storico (e mai affrontato seriamente dalla politica) senza confrontarsi con chi lavora sul campo.
E’ questo l’aspetto più preoccupante dell’iniziativa regionale. Quello di pensare che le professionalità sanitarie possano essere sostituite con figure meno qualificate e meno preparate senza conseguenze sul Servizio sanitario.
Di questo passo, per assurdo, potremmo aspettarci che ad occuparsi di sicurezza alimentare siano promossi gli chef e ad insegnare nelle scuole magari qualche influencer….
Alberto Pozzi
Vicepresidente Fvm Veneto
4 settembre 2019