Continua con la seconda e ultima parte l’approfondimento sulla problematica Pfas Veneto e l’opportunità di uno uno sforzo congiunto di conoscenza e di valutazione prospettica per l’adozione di politiche ispirate ad un uso “essenziale” di PFAS, al fine di ridurre il loro impatto sull’ambiente e salute. Vai alla prima parte
La legislazione nazionale tiene il passo con la evoluzione delle situazioni?
Nel campo dei PFAS chi non è in anticipo è in ritardo: data la forte evoluzione delle conoscenze riguardo alla loro persistenza ambientale, tossicità, L’adozione di misure regolamentari può risultare superato rispetto alla necessità di adottare soluzioni alternative e impieghi limitati sempre più allo stretto ed indispensabile, laddove i limiti regolamentari proposti non tengano conto delle mutate condizioni per la valutazione degli impatti socio-economici e sanitari. Su questo si sta giocando anche nei termini di una maggiore competitività dei beni a ad alto valore aggiunto, laddove risulti percorribile la sostituzione dei PFAS.
Il Regolamento Europeo 1000/2017 su PFOA e sostanze correlate chiaramente mette l’attenzione sui precursori del PFOA da un punto di vista analitico fissando dei limiti nei prodotti di consumo (10 e 1000 ppb, rispettivamente). Tale regolamento troverà peraltro applicazione anche per i materiali a contatto con gli alimenti, nello spirito REACH e delle valutazioni a supporto della restrizione d’uso del PFOA e sostanze correlate.
Analogamente, la proposta di Direttiva Europea aggiornata al 2019 per la revisione dei limiti di contaminazione per le acque ad utilizzo idropotabile (comprese le acque di falda), propone provvisoriamente dei limiti per la somma di PFAS di rilevanza tossicologica, oltre che per singola sostanza. (500 ng/L come somma – 100 ng/L singolo PFAS ). In tale contesto rientrano i precursori in grado di rilasciare monomeri.
A livello nazionale, i limiti attualmente in discussione per PFOA presso il Ministero dell’Ambiente per quanto riguarda le modifiche agli allegati tecnici del d.lgs 152/2006 a livello di Concentrazioni Soglia Critiche per le bonifiche: suoli industriali (5,0 mg/kg), verde pubblico (0,5 mg/kg), acque sotterranee (500 ng/L) riferiti a valutazioni preliminari proposte a fine 2017 sulla base di pareri dell’ Istituto Superiore di sanità non sembrano avere pienamente colto la rilevanza dei precursori di PFOA e PFAS nella valutazione degli impatti ambientali e sanitari. Nulla al momento si sa per quanto in essere sul tavolo tecnico per quanto riguarda gli scarichi , unitamente ai metodi di analisi a supporto. Sarebbe oltremodo interessante andare anche a rivalutare gli Standard Di Qualità Ambientale nei corpi idrici superficiali per PFOA ed altri PFAS di cui al Decreto 172/2015, nella logica di una armonizzazione complessiva.
Chi non anticipa è in ritardo
Quale valutazione di impatto sulla salute, è possibile nella gestione della problematica PFAS a livello ambientale/alimentare, quando i più stringenti valori guida per la salute umana di EFSA per PFOS e PFOA non vengono tenuti in debito conto nello stabilire dei limiti di legge di rilevanza ambientale e alimentare in una ottica quantomeno di esposizione aggregata ad un singlo PFAS, es. PFOA? L’aggravante è che alcune regioni, in assenza di specifici valori per le aree agricole (vedi il recentissimo Decreto MATT 01.03/2019 n. 46) equiparano i requisiti per il verde pubblico a quelle delle aree agricole, equiparazione che per il PFOA e i PFAS rappresenta un rischio per la salute da non sottovalutare, conoscendo la mobilità dei PFAS e la loro capacità di trasferimento alla filiera agro-alimentare. Il limite in discussione di 500 ng/L del PFOA per le acque sotterranee presso il Ministero dell’Ambiente si commenta da solo, considerando che le acque sotterranee devono avere lo stesso status delle acque potabili, per generale condivisione internazionale. E qui non c’è limite di performance che tenga, peraltro già posto in discussione e superato dalla legislazione regionale veneta.
Il consumo di prodotto ittico ed il PFOS, ad esempio
Esemplificativo è il caso del PFOS, per cui vige un divieto di pesca nelle acque contaminate, e uno standard di qualità ambientale (EQS) per il biota destinato al consumo umano di 9,1 ng/g, corrispondente a un EQS di 0,65 ng/L nelle acque. Tali EQS sono stati calcolati in base ad un valore guida per la salute di 150 ng/kg peso corporeo per giorno (EFSA 2008). Oggi che EFSA (2018) ha rivisto tale valore guida a 1,8 ng/kg per giorno, tali EQS dovrebbero essere di conseguenza aggiornati a 0,11 ng/g per il prodotto ittico, corrispondente ad acque con EQS di 0,008 ng/L. Questo, nello spirito della valutazione di impatto sanitario proposta dall’Istituto Superiore di sanità. A dimostrare che l’evoluzione delle conoscenze richiede una flessibilità normativa al momento non data. E questo, paradossalmente potrebbe essere un vantaggio per i gestori del rischio, laddove si intendesse percorrere una stewardship ispirata alla effettiva e progressiva riduzione dei PFAS sulla base di Valutazioni di Impatto Sanitario, e non sulla base di percentuali di conformità/non conformità rispetto ad un limite di legge, peraltro superato.
Quali azioni per il territorio? Verso una intelligenza collettiva?
Le considerazioni di cui sopra si possono tradurre in azioni condivise sul territorio, per recuperare il distacco (termine eufemistico) con cui alcuni cittadini e ONG vedono quanto messo in atto a livello istituzionale (si predica bene e si razzola male?) e che potrebbe apparire come iniziativa a giustificare l’esistente, piuttosto che come percorso condiviso per una Valutazione di Impatto Sanitario meno burocratica, e incentrata sulla definizione di salute dell’OMS: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità”. (nell’immagine il sistema GIS sui PFAS riportato sul sito web PFASLAND su dati ARPAV)
Ecco alcuni spunti, alla luce delle esperienze USA nei vari siti hot spot.
Coprire i gap di conoscenza riguardo alle sorgenti di PFOA/PFAS e dei loro precursori a livello di territorio.
Coinvolgere in modo attivo la popolazione attraverso condivisi percorsi di raccolta dati e di valutazione, in modo da valorizzare esempi virtuosi di resilienza, o di riduzione dell’impiego di PFAS a livello manufatturiero – Scienza del Cittadino e Approcci Euristici.
Considerare in modo più puntuale e condiviso il rischio per le filiere alimentari in chiave One Health, sia in termini di qualità, che di salute per il consumatore, specie in presenza di evidenze dallo studio di biomonitoraggio (vedi evidenze nel gruppo di chi produce e consuma in proprio l’alimento – Allevatori/Agricoltori, che non trova adeguato riscontro nella considerazione di non meglio precisati “fattori ambientali” alla base delle differenze nei livelli del sangue tra zona A e B).
Prospettare delle azioni di prevenzione primaria adeguate in modo differenziato alla situazione emergenziale, e alla situazione di fondo (zone non interessate), per evitare che i criteri gestionali applicabili in situazioni di emergenza non siano automaticamente trasposti su territori dove la contaminazione da PFAS non è così accentuata e soprattutto non si riverbera sui dati di biomonitoraggio e sulla contaminazione della falda profonda. Vedi il PFAS Action PLAN della Agenzia per L’ambiente Statunitense
Recuperare un rapporto fiduciale con la società civile su binari di trasparenza, autorevolezza, e indipendenza, facendo valutare le evidenze prodotte dalle attività di monitoraggio ambientale, alimentare e umano, da esperti di livello internazionale indipendenti rispetto a chi ha in carico la gestione del rischio, anche rispetto alle fonti di finanziamento, esperti che abbiano una adeguata conoscenza della complessità del territorio rispetto alle interazioni ambientali, socio-economiche, e sanitarie e che siano aperti ai contributi da parte degli Stakeholders.
Tali opportunità, che sottolineano come nessuno possa ritenersi autoreferenziante in materia di PFAS, se non adeguatamente e tempestivamente messe a sistema, possono rendere inefficace la prevenzione primaria. Gli aspetti socio-economici risulterebbero critici laddove non si tenesse in debito conto l’accelerazione sulla sostituzione dei PFAS nei principali settori manufatturieri in atto nei principali paesi industrializzati. Tale sostituzione si accompagna ad una progressiva limatura verso valori più restrittivi dal punto di vista tossicologico. Lavorare sugli effetti e non sulle cause potrebbe porci nelle condizioni di scegliere quale tragedia di Shakespeare si attagli di più al caso: il Mercante di Venezia o Macbeth? L’intervento di Prospero nella “Tempesta” è da escludere: la bacchetta (forse ci vorrebbe un bastone?) magica è già stata rotta. Rimane la condivisione ampia quale primo passo di una soluzione praticabile, progressiva e credibile ad un problema complesso.
2 parte – fine
(riproduzione ammessa solo citando la fonte – testo raccolto a cura della redazione)