di Nevea Lorenzato. Nel settore del pubblico impiego il meccanismo di funzionamento della previdenza complementare, posto in essere al fine di limitare le immediate ricadute sui conti pubblici e consentire il varo delle iniziative di previdenza complementare in un quadro di compatibilità finanziaria, ha generato seri problemi. L’avvio della previdenza complementare nel settore pubblico. Nonostante il Dlgs 124 /1993 prevedesse già la possibilità di istituire dei fondi pensione anche per i dipendenti pubblici, le basi per il loro concreto avvio si sono poste solo successivamente, a seguito di un complesso iter legislativo. Lo stesso decreto, infatti, all’articolo 8, elegge il trattamento di fine rapporto (Tfr) quale fonte principale e fondamentale per il finanziamento dei fondi pensione, ma tale istituto è sempre stato estraneo all’area del pubblico impiego, dove hanno operato fenomeni giuridici di differente natura, denominati trattamenti di fine servizio (Tfs).
Le differenti caratteristiche tra le tradizionali forme di liquidazione e il trattamento di fine rapporto regolato dall’articolo 2120 del codice civile avrebbero costituito un forte ostacolo per la nascita e lo sviluppo della previdenza complementare per il pubblico impiego e questa è la ragione per la quale la trasformazione delle vecchie indennità di fine servizio in trattamenti di fine rapporto si è resa necessaria per il concreto avvio di forme di previdenza complementare nel settore del pubblico impiego.
La legge di riforma del sistema pensionistico 335/1995 ha disposto quindi, all’articolo 2, l’estensione al settore pubblico dell’uniformità di calcolo e di trattamento della “liquidazione” che la legge 297/1982 ha a suo tempo introdotto per il settore privato. Questa previsione tuttavia non esaurisce ogni questione, in quanto la stessa legge ha rimesso alcuni essenziali adempimenti alla contrattazione collettiva nazionale di cui al titolo terzo del Dlgs 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni.
L’avvio concreto della previdenza complementare per i pubblici dipendenti si è reso possibile solo a seguito dell’emanazione del Dpcm 20 dicembre 1999 seguito dal Dpcm 2 marzo 2001 che, congiuntamente, hanno segnato la nascita della previdenza complementare anche nel pubblico impiego e stabilito alcuni punti particolarmente significativi collegati sia alla trasformazione del Tfs vigente in Tfr così come previsto dall’articolo 2120 del codice civile, sia al finanziamento dei fondi pensione.
La disciplina del trattamento di fine rapporto
Il regime del Tfr, disciplinato dall’articolo 2120 c.c., è inizialmente esteso a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni assunti a partire dal 30 maggio 2000, data di entrata in vigore del Dpcm 20 dicembre 1999. Successivamente, con Dpcm 2 marzo 2001, tale decorrenza è prorogata, limitatamente ai nuovi assunti a tempo indeterminato, al 1° gennaio 2001. Per questi lavoratori l’adesione alla previdenza complementare può essere effettuata in qualunque momento successivo all’assunzione, con integrale destinazione al fondo pensione della quota di Tfr maturata.
I dipendenti pubblici già in servizio al 31 dicembre 2000 permangono invece nel regime Tfs, salva la possibilità di opzione per il Tfr prevista dal comma 56 dell’articolo 59 della legge 449/1997, con contestuale e necessaria adesione al fondo pensione. Il Tfs maturato fino alla data dell’opzione costituisce il primo accantonamento di risorse da destinare al fondo pensione in misura non superiore al 2% della retribuzione utile ai fini del Tfr.
Nell’applicare il Tfr al pubblico impiego è stata mantenuta la stessa trattenuta a carico del lavoratore prevista come contributo obbligatorio per i Tfs, richiamando il principio dell’invarianza della retribuzione netta, anche se la normativa prevede che il Tfr sia interamente a carico del datore di lavoro per la sua natura di retribuzione differita.
All’Inps-Gestione dipendenti pubblici, che acquisisce in forma di contributi i finanziamenti per il personale in regime di Tfr, è demandato il compito di liquidare il Tfr, fermi restando gli obblighi di erogazione dei Tfs, comunque denominati, per i lavoratori che mantengono detto regime.
La quota di finanziamento del Tfr da parte degli enti datori di lavoro conserva quindi la stessa misura prevista per il Tfs; continua quindi a configurarsi come contributo versato all’Istituto previdenziale da parte del solo datore di lavoro. Il sistema di accantonamento del Tfr in un conto virtuale rimane a ripartizione in quanto, anche se l’Inps provvederà alla gestione delle singole posizioni, i versamenti contributivi effettivi saranno impiegati per l’erogazione dei Tfs e Tfr correnti.
Il Sole 24 Ore sanità – 5 gennaio 2016