Governatore irritato e Lega costretta a intervenire: “Lui è un patrimonio del partito”
di Giovanna Casadio, Repubblica. Matteo Salvini scarica il “doge” Luca Zaia. Mette anche una pietra tombale sulla richiesta di terzo mandato per i presidenti di Regione (e i sindaci), che era stata una battaglia della Lega, anche a prezzo di conflitti con gli alleati. La posta in gioco finora era la ricandidatura di Zaia in Veneto: il leader leghista non la ritiene più indispensabile. È una resa dei conti in casa Lega.
A margine dell’adunata record degli alpini a Vicenza, domenica, Salvini si lascia andare ad alcune considerazioni raccolte dal Gazzettino , quotidiano del Nordest, che sono un vero e proprio sgambetto al governatore veneto. «Ho una decina di nomi per il dopo-Zaia. Potrebbe essere anche una donna», butta lì, confermando che Zaia non verrà dopo Zaia. Si consuma così la frattura tra le due anime leghiste: quella di destra-destra, sovranista e governista, che è l’identità impressa da Salvini al partito, e il movimento dei territori, autonomista ma anche a-ideologico e anti sovranista che Zaia rappresenta tanto che, solo a fine serata, la Lega è costretta a correre ai ripari: «Zaia è un patrimonio», recita una nota del partito, e il vincolo dei due mandati «limita la libertà di scelta dei cittadini». Ma che tra il “doge” e Salvini ci fosse una distanza quasi siderale è comunque evidente. Da parte di Zaia l’irritazione è fortissima. Il gelo si esprime in un silenzio infastidito. L’uscita di Salvini avviene proprio in un’occasione, il raduno degli alpini, che Zaia ha voluto e la Regione si è spesa per l’organizzare. Quindi lamossa salviniana negli ambienti leghisti veneti è giudicata del tutto inopportuna.
Il malumore tra Salvini e Zaia finisce nel tritacarne. Se è stato congelato in vista delle Europee — anche per non fornire alibi a un risultato annunciato non eccellente, con il fiato di FI sul collo leghista proprio al Nord — gli scricchiolii hanno adesso il suono di una rottura. La dichiarazione di Salvini appare inoltre una prova di forza della propria leadership, alla fine di un percorso di tensioni con Zaia. Il governatore non si è voluto candidare alle Europee, nonostante il pressing del leader, e ha insistito per restare a completare il mandato e possibilmente farne un altro, se il partito l’avesse spuntata sullo stop al limite per i presidenti di Regione.
D’altra parte ad approfondire ilsolco è stata anche la candidatura del generale Roberto Vannacci. Per Salvini è il salvagente leghista. Per Zaia, invece, vale la pena votare i candidati veneti l’8 e 9 giugno. Dello stesso avviso Massimiliano Fedriga, il presidente leghista del Friuli Venezia Giulia.
Se le europee fossero un flop, per la Lega comincerebbe il redde rationem e si aprirebbe la partita per la successione a Salvini: Zaia e Fedriga sono indicati come papabili, più ancora dell’attuale ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. A indisporre i leghisti veneti c’è poi il riferimento a “una decina di nomi” per il dopo-Zaia, una sorta di mucchio da cui pescare. I nomi di candidate che circolano sono quelli di Elisa De Berti, vice di Zaia e di Erika Stefani, l’ex ministra. In pole anche Alberto Stefani, il segretario della Liga Veneta.