La “kuga”, parola che ora corre di bocca in bocca nei paesini e nella campagna, ma anche nelle stanze del potere, si diffonde nei villaggi, mentre la conta delle vittime aumenta. Rischiando di mettere in ginocchio intere economie a vocazione agricola e di svuotare ancora di più le tasche dei cittadini. Ed è purtroppo proprio “svinjska kuga”, la peste suina africana (Psa) – assieme al maltempo e alle tempeste eccezionali che hanno provocato gravi danni – il leitmotiv dell’estate in larga parte dei Balcani.
La peste suina, dopo essere stata registrata nei mesi scorsi in varie aree di Croazia e Bosnia, e ora anche in Kosovo ma soprattutto in Serbia, continua a far paura e a provocare disastri. Ed è proprio la Serbia, dove i suini sono una delle architravi dell’allevamento e cardine della dieta quotidiana – l’epicentro dell’epidemia causata da un virus registrato nel Paese per la prima volta nel 2019. Lo confermano le ultime stime delle autorità, che parlano di una trentina di comuni colpiti dalla peste suina interessando oltre 800 piccoli allevamenti e fattorie, con quasi 20mila suini abbattuti perché in insediamenti agricoli a rischio o già contagiati, più di 600 i maiali morti a causa del virus, per il quale non c’è vaccino e non ci sono cure. Cifre che suggeriscono che il contagio si è ulteriormente diffuso nelle ultime settimane.
Poteva o potrebbe andare ancora peggio, se la malattia dovesse raggiungere i grandi allevamenti intensivi, un timore crescente nel Paese. In Serbia «ci sono vari focolai ma è un bene che non siano stati colpiti gli allevamenti maggiori», dove se entrasse il virus le conseguenze sarebbero «catastrofiche», ha lanciato l’allarme l’azienda Matijevi?, colosso delle carni in Serbia. Catastrofe vera e propria, perché lo scenario peggiore è quello «di un Paese senza più alcun maiale», ha avvisato Matijevi?, criticando anche i ritardi nella reazione contro la peste suina da parte delle autorità. Ritardi che forse ci saranno anche stati, ma la situazione generale è pesante e impegnativa, con il ministero dell’Agricoltura che ha condotto quasi 300 mila ispezioni e analisi su maiali domestici e su cinghiali.
Nel frattempo, il governo a Belgrado ha dato vita a un coordinamento nazionale per monitorare la situazione, che appare più grave proprio nell’area attorno alla capitale e nel Banato, ai confini con quella Romania già più volte colpita dalla peste suina negli ultimi anni. I controlli veterinari sono serrati «e costanti» su tutta la popolazione suina «negli allevamenti» e nei boschi, ha assicurato il ministero dell’Agricoltura serbo, mentre nei luoghi colpiti si procede «alla sterilizzazione» delle strutture e a «seppellire» i maiali eliminati in aree che non mettano a rischio gli animali sani. «Non ci voleva tutto questo, sarà una battaglia durissima per assicurare che ci sia ancora produzione di carne suina», i cui prezzi al consumo sono già ora aumentati da 2,3 a 3,2 euro al kg, ha avvisato Nenad Budimovi?, della Camera di commercio di Belgrado.
Preoccupazioni, che impattano su un comparto in difficoltà già da anni, che sono condivise anche in nazioni vicine, come il Kosovo, dove il primo caso di Psa è stato identificato in una fattoria di Klokot. La situazione è seria anche in Bosnia, con più di 12mila suini soppressi solo nell’area di Bijelina e 3mila in un mese in Croazia, che già a metà luglio ha vietato il movimento dei suini dalle sue fattorie verso altri Paesi Ue, mentre persino la Cina ha ordinato lo stop alle importazioni da Croazia e Bosnia.
Il Piccolo