Come è arrivata sul nostro territorio la peste suina africana (Psa)? Secondo L’Istituto superiore per la tutela dell’ambiente (Ispra) la malattia “è sicuramente dovuta all’inconsapevole introduzione del virus da parte dell’uomo”. La Psa è diffusa nell’Europa dell’Est e in Sardegna ed è comparsa il 7 gennaio scorso a Ovada. Finora sono stati scoperti tra Piemonte e Liguria 21 casi di carcasse di cinghiale positive, di cui 14 sul territorio alessandrino. Una tesi è che la diffusione sia dovuta all’elevata densità di cinghiali ma, spiega l’Ispra, non è così: “La comparsa del virus è totalmente indipendente dalle densità di cinghiale. Le popolazioni di cinghiale infette più vicine all’Italia vivono a diverse centinaia di km di distanza. La comparsa dell’infezione nel cinghiale in Piemonte e Liguria è sicuramente dovuta all’inconsapevole introduzione del virus da parte dell’uomo”.
L’istituto sostiene inoltre che “la densità del cinghiale non ha effetti significativi sulla persistenza in natura della Peste suina africana. La notevole resistenza del virus nell’ambiente fa sì che la malattia continui a circolare per anni, anche in popolazioni di cinghiale a densità bassissime (es. circa 0,5/km2)”. Secondo le simulazioni effettuate dall’Ispra, “per poter rallentare significativamente la diffusione della Peste suina africana si dovrebbe rimuovere nel brevissimo periodo la quasi totalità della popolazione di cinghiale (circa il 90%), obiettivo irrealistico da raggiungere nella gran parte dei contesti presenti sul territorio nazionale”. Per questo sono state prese le contestate misure che limitano le attività nei boschi, dal trekking alla mountain bike fino alla caccia: si vuole evitare che i cinghiali si spaventino spostandosi sul territorio e il morbo possa arrivare negli allevamenti di maiali. Un contributo alla limitazione della diffusione della Psa può arrivare dal lupo “sia predandogli individui malati, sia consumando le carcasse infette”. La Psa non infetta altri animali, a parte i suini, né l’uomo