“Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”. E’ questo il titolo dell’ultimo decreto legge varato in piena estate – e prontamente convertito in legge dal Parlamento – con il quale il Governo ha attuato la tanto decantata spending review. Il messaggio sembra chiaro ed inequivocabile: l’amministrazione pubblica deve spendere meno senza togliere nulla ai cittadini. Un’iniziativa contro gli sprechi sulla quale è pressoché impossibile non trovarsi d’accordo. A guardar bene – e soprattutto a guardare come le amministrazioni la stanno interpretando – tuttavia, viene il dubbio, che dietro la facciata buona del contenimento della spesa pubblica e dell’eliminazione degli sprechi, l’iniziativa del Governo nasconda una pericolosa e straordinaria insidia per le imprese.
Una spending review con il trucco.
Ecco il testo di una delle tante disposizioni contenute nel provvedimento: “Al fine di razionalizzare le risorse in ambito sanitario e di conseguire una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi: […] gli importi e le connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, con esclusione degli acquisti dei farmaci, stipulati da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, sono ridotti del 5 per cento a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto per tutta la durata dei contratti medesimi”.
A leggere la norma sembra evidente che il Governo stia imponendo alle aziende ed agli enti del servizio sanitario nazionale, di risparmiare il 5%, riducendo ordini e costi, anche in relazione ai contratti in corso.
La lettura che ne stanno dando le amministrazioni è completamente diversa.
Decine di aziende sanitarie, all’indomani dell’entrata in vigore del Decreto Legge, infatti, hanno preso carta e penna e scritto ai loro fornitori che, in forza della nuova disciplina sulla spending review, avrebbero dovuto loro praticare sconti del 5% sui prezzi pattuiti all’esito dell’aggiudicazione degli appalti per le forniture e, addirittura, restituire il 5% di quanto, eventualmente, già incassato in vigenza del Decreto.
Non stiamo parlando di spiccioli ma di centinaia di milioni di euro di sconto coattivo che le pubbliche amministrazioni italiane, in forza dell’infelice formulazione del decreto legge varato dal Governo, vorrebbero imporre a migliaia e migliaia di loro fornitori che, così, nella sostanza, si ritroverebbero obbligati a supportare – vien da dire solidaristicamente – la riduzione della spesa pubblica.
Come se, in tempo di crisi, data l’esigenza di risparmiare, ogni cittadino fosse legittimato ad entrare in un supermercato e fare la stessa spesa del giorno prima, pagando il 5% in meno.
Davvero facile contenere i costi ed eliminare gli sprechi in questo modo.
Si tratta, naturalmente, di un’interpretazione di comodo – alla quale, sfortunatamente, la norma uscita dalla penna infelice di un professore poco accorto – si presta ma che è palesemente incostituzionale: lo Stato non può entrare – neppure in tempo di crisi – a gambe tese su un contratto in corso e pretendere che il fornitore pratichi coattivamente uno sconto del 5% all’amministrazione committente per aiutarla a risparmiare.
E’, difficile, d’altra parte capire come, una misura così congeniata che imponesse alle imprese di regalare il 5% dei propri prodotti e servizi alla pubblica amministrazione possa davvero aiutare il Paese ad uscire dalla crisi.
Il senso della norma è ovviamente diverso: tocca alle pubbliche amministrazioni trovare il modo – agendo anche sui contratti in corso e rinegoziando l’entità dei beni e dei servizi ordinati – ottenere, cumulativamente, un risparmio del 5% senza imporre, tuttavia, nessun sacrificio ai cittadini ai quali – tanto più che si parla di sanità – occorre continuare ad erogare lo stesso livello di servizi.
E’ grave, tuttavia, che – benché evidentemente informato di quanto sta accadendo e dell’autentico fiume di lettere che le amministrazioni italiane stanno indirizzando ai propri fornitori per auto-applicarsi unilateralmente gli sconti – il Governo taccia e non abbia avvertito l’esigenza di varare una circolare interpretativa attraverso la quale spiegare che tocca alle amministrazioni risparmiare, senza pretendere sconti ma rinegoziando – in modo aggregato e selettivo – quelli tra i contratti in essere che ritengono rinegoziabili ed utili al raggiungimento dell’obiettivo finale di contenimento dei costi.
E’ una spending review con il trucco ed in danno delle imprese che finirà solo con l’accendere un contenzioso senza precedenti tra amministrazioni e privati, senza far risparmiare un solo euro al Paese
Guido Scorza – L’Espresso – 20 settembre 2012