E dire che da metà degli anni 70 e per molto tempo, è andato per la maggiore: il gabbiano Jonathan Livingston. Ne parlavano in tanti. Sì, d’accordo era una favola — Il gabbiano che cerca il volo perfetto, con coraggio, testardaggine e sacrificio — ma è stato letto a destra e a sinistra, dai cattolici e da quelli che cominciavano a frequentare il mondo della new age . Pure quelli (come me) che hanno letto durante l’adolescenza solo Charles Bukowski, un’occhiata alle pagine di Bach l’hanno data.
Magari si sono lamentati della prosa, hanno detto le peggio cose sulla storia edificante (del resto il vecchio Hank era d’altra pasta), e tuttavia poi nei momenti di spleen, quando la domenica il tuo telefono non squilla più perché il tuo ragazzo/a ha preso il volo, ecco, allora, una poesia con protagonista un gabbiano l’abbiamo scritta. Le famose ali tarpate sono o non sono in simbiosi con il gabbiano? Mica solo i fascisti affiggevano manifesti con i gabbiani e la retorica del volo, e no, c’è anche Cechov col suo dramma (Nina al IV atto si paragona a un gabbiano, prima di dichiarare: sono un’attrice). Anche Gaber lo cita in «Qualcuno era comunista»: «Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare…come dei gabbiani ipotetici». Insomma, il gabbiano andava forte, anche perché svolazzava lontano. Ora, stanno troppo vicini.
A Genova hanno occupato una pista e non se ne vanno facilmente: sono animali diurni, ha detto un dirigente dello scalo, non è facile spostarli di notte. A Roma non fai in tempo a lanciare una colomba bianca (simbolo di purezza e pace) che arriva il gabbiano (pure lui simbolo di purezza e poesia) e per la colomba non c’è pace. Troppi e volano tutti benissimo, avranno avuto Jonathan Livingston come maestro, appunto. Insomma, problemi pratici. I danni vanno dai problemi sanitari negli ambienti urbani, fino alla convivenza con le attività produttive e ricreative, come l’allevamento ittico o la caccia. Per non dire che nel Mediterraneo, sono stati verificati sia i danni alla vegetazione sia quelli alla fauna selvatica.
A Roma in tanti stanno «sbroccando». Non li sopportano più, i gabbiani. Capita di vedere crocicchi improvvisati, la gente discute. Di che? Dei gabbiani, di chi sennò. C’è pure qualcuno che dice: sterminateli tutti. Ma subito viene redarguito. La colpa, si dice, è dell’attività antropica. Delle discariche e dei pescatori che gli danno da mangiare. Il gabbiano si sposta tanto per il cibo, fino a 80 chilometri, e vuoi che non trovi una discarica o un pescatore dal cuore generoso? Sterminateli, insiste il tizio. Ma no, ribadiscono quelli del crocicchio, bisogna controllarli. E come? Vari metodi, bucando le uova nel nido. Appunto, insiste quello: li uccidiamo in culla. Ma no, gli rispondono: basta eliminare le discariche e diminuire gli apporti di cibo. Appunto: li facciamo morire di fame, non è meglio spararli, dice sempre il tizio che ha sbroccato (per il guano, perché s’è trovato il gabbiamo in casa, perché il gabbiano s’è mangiato il pappagallo ecc.). E la discussione va avanti, poi arriva l’ornitologo che vuole portare un po’ di sana etologia e dice che, per esempio in Friuli, la prima regione che si è posta il problema, ecco lì, si è passati da 7500 unità degli anni passati alle 20 mila unità del 1998 alle 30 mila unità. Ma sono dati del 2005 ci tiene a ribadire. Oddio e ora? Quanti saranno.
A quel punto ci si sente oppressi e si vedono gabbiani dappertutto e vengono in mente gli uccelli, non di quelli di Aristofane, non quelli di Battiato ma quelli di Alfred Hitchcock che va bene, non erano gabbiani ma in situazioni come queste mica vai a fare le differenze. Così, te ne vai a casa, tanto lì, pensi stai al sicuro e invece che succede? Tua figlia, ignara del mondo là fuori ti chiede: hai un libro di Bukowski? Su Facebook c’è una sua poesia, bellissima. Cosa? Hai 13 anni. Senti il conflitto morale crescere in te. Senti, dici dopo un po’: ci sarebbe questo libro, il Gabbiano Jonathan Livingston. Per essere poetico è poetico.
La Stampa – 8 febbraio 2014