Ondate di calore, piogge violente e improvvise, alluvioni, frane, uragani… Il pianeta Terra non ha solo la febbre, soffre pure di fenomeni meteorologici estremi e sempre più frequenti in cui è ben visibile l’«impronta umana». Il conto è salatissimo, anche in termini economici: oltre tremila miliardi di dollari negli ultimi vent’anni.
In margine alla Conferenza dell’Onu sul clima, Cop22, aperta lunedì a Marrakech, l’Organizzazione meteorologica mondiale torna a suonare l’allarme con una sintesi di ben 79 studi. Tutti gli indicatori confermano la tendenza al riscaldamento a lungo termine causato dai gas a effetto serra e lo scorso anno il «termometro mondiale» ha per la prima volta superato di 1 grado le temperature preindustriali: una vera sfida, tenuto conto che l’Accordo di Parigi del dicembre scorso fissa il limite da non raggiungere «ben al di sotto» di 2°. Ma gli scienziati sono molto preoccupati anche per l’aumento «innaturale» dei fenomeni estremi.
La think tank tedesca Germanwatch ha presentato il conto. Secondo il suo ultimo Indice del Rischio climatico globale, diffuso martedì a Cop22, tra il 1996 e il 2015 si sono verificati ben 11.000 eventi meteorologici estremi che hanno causato danni per oltre 3.3oo miliardi di dollari. Più di 530.000 persone sono morte come risultato diretto, cui si dovrebbero aggiungere le vittime sul lungo periodo, ad esempio quelle decedute per siccità prolungate. Se negli ultimi vent’anni (vedi grafico) i Paesi più colpiti da questi eventi sono stati Honduras, Myanmar e Haiti, nel 2015 è stata l’Africa a guidare la triste hit parade. Nella top ten dello scorso anno, ben quattro Paesi appartengono al continente che meno inquina e più subisce: Mozambico, primo assoluto, Malawi, Ghana e Madagascar.
Gli eventi più letali registrati nel 2015 sono state però le eccezionali ondate di calore che hanno colpito l’India, provocando 4.300 morti, e la Francia con 3.300 vittime. La ricca Europa non sfugge infatti all’imbarbarimento climatico, anche se i danni sono limitati grazie alle infrastrutture.
La fragile Italia, per il 2015, «conquista» comunque il non invidiabile 19° posto in classifica: i morti per eventi estremi, secondo Germanwatch, sono stati 174, pari a 0,29 ogni 100.000 abitanti, i danni economici superano i 2 miliardi di dollari (pari allo 0,09 del Pil). Sul lungo periodo, cioè tra il 1996 e il 2015, siamo invece al 25° posto per i danni.
Il collegamento fra fenomeni estremi e cambiamento climatico è ancora una frontiera della scienza ma è sotto gli occhi di tutti che, soprattutto in Nord America ed Europa, la frequenza e l’intensità delle forti precipitazioni è in netto aumento. «Tutti gli studi confermano che il Mediterraneo in particolare è una delle aree più a rischio — ricorda Maria Grazia Midulla del Wwf —. Anche per questo ci aspettiamo che l’Italia sia fra i Paesi che più spingeranno per azioni rapide verso la decarbonizzazione».
Il prezzo più alto continuano in ogni caso a pagarlo i Paesi poveri, gli stessi che a Marrakech rivendicano finanziamenti urgenti e stabili per ridurre le emissioni di gas serra ma anche per far fronte all’impatto dei cambiamenti climatici. «La distribuzione degli eventi estremi non è equa — riconosce Sönke Kreft, responsabile dell’Indice —. In base alla nostra analisi ventennale, nove dei dieci Paesi più colpiti hanno reddito basso o medio-basso. E sono i Paesi con le più basse emissioni di gas serra, i meno responsabili del cambiamento climatico».
Il Corriere della Sera – 10 novembre 2016