Nell’anno peggiore della crisi dell’occupazione, il 2013, il mercato del lavoro italiano ha macinato 9,7 milioni di nuovi rapporti di lavoro, una media di circa 2,4 milioni al trimestre, a cui hanno corrisposto 9,8 milioni di cessazioni. Solo nel terzo trimestre dell’anno le attivazioni sono state superiori alle cessazioni, ciò che aveva fatto lievitare un pizzico di entusiasmo ben presto rientrato.
I lavoratori coinvolti sono stati circa 1,6 milioni a trimestre, quindi oltre sei milioni nell’anno, per 1,43 rapporti attivati pro capite (significa che ogni persona ha avuto più di un contratto). Sono numeri che confermano che, nonostante la crisi, il mercato del lavoro non si è affatto fermato e, anche se è in evidente debito di ossigeno, si appresta a compiere un giro di boa, soprattutto, si spera, nella seconda parte di quest’anno.
L’analisi dei dati sulle comunicazioni obbligatorie diffusi dal ministero del Lavoro riferiti ai dodici mesi dello scorso anno permettono di cogliere alcuni fenomeni interessanti sulla qualità delle sue dinamiche; innanzitutto, sulle formule contrattuali di assunzione più utilizzate dalle imprese. Il recente decreto di marzo assume un significato più chiaro alla luce dei dati e rivela l’obiettivo del governo, che con il provvedimento ha voluto dare una sferzata alle assunzioni.
Peccato che le misure siano state di fatto bloccate dalla discussione e dalle discordanze tra le forze politiche, ridiventando vittime del solito derby tra liberalizzatori e garantisti, tra riduttori e difensori delle tutele o presunti tali. Intanto, la bufera sul decreto Poletti (che ha al centro le modifiche dei contratti a termine e dell’apprendistato) si è spostata dalla Camera, dove il provvedimento ha ottenuto la fiducia, al Senato, dove dovrà essere licenziato entro pochi giorni, pena la sua decadenza. Nell’intento dei sostenitori vi era anche l’obiettivo di mettere le imprese di fronte alla responsabilità di fare la propria parte e di usare la flessibilità senza trincerarsi dietro gli alibi. E i dati dell’ultimo trimestre dell’anno lo confermano: la star delle attivazioni e delle nuove assunzioni è stato infatti il contratto a tempo determinato, oggi in via di ulteriore liberalizzazione.
Quasi il 70% delle nuove assunzioni è infatti avvenuto con i contratti a termine. Al contratto a tempo indeterminato è andato solo il 16% della torta, mentre l’apprendistato si appresta a gestire una fase speriamo non irreversibile di declino (2,4%) e necessita di un più deciso rilancio. A perdere colpi sono più le donne degli uomini (- 25mila attivazioni rispetto al -18mila degli uomini).
A tenere di più tra i settori sono state l’agricoltura e l’industria, ad eccezione delle costruzioni; perdono i servizi. Le attivazioni hanno favorito soprattutto le fasce di età dei 25-34enni e dei 35-44enni: sei attivazioni su dieci hanno riguardato queste classi anagrafiche, meno di una su dieci gli over 55. Tra le cause delle cessazioni prevalgono le mancate conferme alla scadenza dei contratti (2,2 milioni di cessazioni su 3,1 milione), ma vi sono anche chiusure di attività e licenziamenti. Una cessazione su sei è dovuta a dimissioni volontarie dei lavoratori. Lazio, Lombardia e Puglia si rivelano le regioni più dinamiche per attivazioni ma anche per cessazioni. Tirocini e stage extracurricolari sono in fase restrizione (204.081 in tutto il 2013).
La Stampa – 5 maggio 2014