di Laura Cuppini, Corriere della Sera. Come si trasmette Sars-CoV-2? Secondo una lettera firmata da 239 scienziati di 32 Paesi, anticipata dal New York Times, una delle vie di contagio potenzialmente più pericolose è rappresentata dalle goccioline emesse respirando e parlando, che restano a lungo sospese nell’aria.
1 Che cosa sappiamo di questa possibile forma di trasmissione?
Una persona infetta produce particelle «grandi» (superiori ai 1o micron), che cadono a terra per la forza di gravità — da qui nasce la raccomandazione della distanza minima di un metro — e i cosiddetti droplet, goccioline di minuscole dimensioni trasportate dalle molecole presenti nell’ambiente. Secondo i firmatari della petizione, queste piccolissime particelle infette, in grandi quantità, potrebbero essere un importante veicolo di contagio: si tratta di un’evidenza scientifica — sottolineano — di cui è necessario prendere atto.
2 Il rischio riguarda solo gli spazi interni?
Sì, all’esterno le goccioline emesse parlando si disperdono velocemente. Nei luoghi chiusi, con poco ricambio d’aria, può esserci invece il rischio di un accumulo di carica virale. Le probabilità di contagio dipendono anche dal tempo di permanenza delle persone. Ne è un esempio quanto accaduto il 10 marzo a Mount Vernon, nello Stato di Washington: le prove di un coro si sono trasformate in una tragedia, a causa di un solo positivo che ha contagiato 53 persone (su 61), di cui due sono morte. La situazione può essere stata aggravata dall’azione di cantare, che comporta un’emissione di goccioline superiore rispetto al semplice parlare.
3 Che cosa chiedono i firmatari della lettera?
Si rivolgono all’Organizzazione mondiale della sanità, proponendo di inserire la cosiddetta «trasmissione aerea» tra le principali cause di contagio. Finora l’Oms ha ritenuto questa ipotesi remota e non scientificamente dimostrata, concentrandosi su raccomandazioni legate al contatto, come il lavarsi spesso le mani.
4 Le mascherine possono proteggerci dalla trasmissione aerea?
Secondo gli autori del documento, coordinati da Giorgio Buonanno e Lidia Morawska della Queensland University of Technology di Brisbane (Australia), le mascherine chirurgiche assicurano una protezione parziale, ma non azzerano il rischio del contagio tramite le goccioline volatili. I sistemi per rendere sicuri gli ambienti chiusi potrebbero essere: ricambio frequente dell’aria tramite sistemi meccanici, valutazione del tempo massimo di permanenza delle persone in un determinato ambiente senza che il rischio di contagio diventi elevato, sistemi di protezione individuale efficaci (le mascherine N95, FFP2, FFP3, in particolare per il personale sanitario), raccomandazioni pratiche per i presenti, come per esempio parlare a bassa voce per ridurre le emissioni di particelle. Infine i responsabili di locali, scuole, ospedali, residenze per anziani e altri spazi circoscritti andrebbero adeguatamente informati su come prevenire la trasmissione aerea del coronavirus. Le mascherine chirurgiche vanno bene per tutti coloro che non lavorano in ospedale, ma vanno sostituite spesso (ogni 6-8 ore) e indossate correttamente, coprendo bocca e naso. Secondo alcuni esperti potrebbero rappresentare, in vista della riapertura delle scuole, una soluzione alternativa a separatori in plexiglas e aule dimezzate.
(Hanno collaborato Giorgio Buonanno, docente all’Università di Cassino e alla Queensland University of Technology di Brisbane, e Vincenzo Valenti, responsabile di Pneumologia all’Irccs Policlinico San Donato e docente all’Università degli Studi di Milano)