Il rompicapo dei premi di produttività per i dipendenti pubblici, che pure è l’ostacolo più complicato in vista del riavvio vero e proprio delle trattative sul contratto, impallidisce di fronte alla replica dello stesso tema sul piano dei dirigenti. In questo caso il problema è dato dalla riforma approvata ad agosto in prima lettura dal governo che, replicando un altro capitolo della legge Brunetta rimasto inattuato, chiede di misurare in base ai «risultati» almeno il 30% della busta paga dirigenziale.
Oggi le “performance” guidano solo il 10% dello stipendio dei dirigenti, ma ovviamente per raggiungere la nuova soglia non è possibile far lievitare le buste paga, anche perché l’operazione, secondo il decreto, dovrebbe far risparmiare e non moltiplicare la spesa.
Sul punto (vedi Il Sole 24 Ore del 19 settembre) si sono interrogati anche i tecnici del servizio bilancio del Senato. Per rispettare la regola, spiegano, l’importo dei premi «andrebbe perlomeno triplicato», mossa che «non sembrerebbe chiaramente possibile» né gonfiando i premi né tagliando la quota fissa. A ostacolare questa seconda strada, oltre a evidenti ragioni di conflitto con i diretti interessati, c’è anche la giungla delle voci contrattuali che da settore a settore spostano il confine fra voci fisse e voci variabili dello stipendio, complicando il quadro anche con italianissime «quote fisse della parte variabile»: un ginepraio praticamente impossibile da gestire, come sanno bene i tecnici che in queste settimane stanno cercando di trovare un criterio omogeneo per separare la quota fondamentale e quella accessoria delle retribuzioni.
Ma nelle 42 pagine del dossier preparato da Palazzo Madama trovano spazio anche altre domande difficili. Il meccanismo degli incarichi quadriennali, per esempio, prevede una sorta di parcheggio per i dirigenti che restano senza posto e che si vedono accreditare solo lo stipendio base (con tagli crescenti nel tempo) finché non agguantano un nuovo incarico. A garantire questo «trattamento economico fondamentale» al dirigente è il suo ultimo ente di appartenenza, che però deve ovviamente pagare anche il nuovo dirigente chiamato a sostituire quello finito in stand by: ma come si fa a retribuire entrambi senza far aumentare la spesa?
Questi e altri nodi tecnici complicano il cammino di un decreto, che attende a giorni il parere del Consiglio di Stato e ha acceso da subito fortissime resistenze politiche. Regioni ed enti locali hanno sospeso il loro parere in conferenza unificata e nelle stanze dei ministeri il clima si è parecchio scaldato sulla prospettiva degli incarichi a tempo, solo attenuata dalla corsia preferenziale per il 30% degli attuali dirigenti “generali”, e su compiti e funzioni delle tre commissioni nazionali che dovrebbero gestire il traffico degli incarichi. Il braccio di ferro è in pieno svolgimento, e fra i punti deboli della nuova architettura c’è la possibilità concreta per i componenti delle commissioni (il presidente Anac, quello della Crui, il ragioniere generale dello Stato e i vertici amministrativi dei ministeri dell’Interno e degli Esteri) di sobbarcarsi (gratis) anche un compito aggiuntivo così pesante.
Molto alta è anche la temperatura sulle prospettive per gli incarichi esterni, affidati cioè a persone estranee ai ruoli unici nazionali. La regola, scritta all’articolo 4 del decreto, ha scatenato un ricchissimo dibattito interpretativo. In pratica, il decreto dice che «ciascun incarico dirigenziale» può essere conferito tramite concorso ai dirigenti di ruolo e al comma successivo aggiunge che «gli incarichi non assegnati» con la procedura “ordinaria” possono essere attribuiti con selezione pubblica a chi non è inserito nei ruoli. Il rapporto fra le due regole non è chiarissimo, al punto da accendere due critiche speculari: un primo gruppo, rappresentato soprattutto dai dirigenti di ruolo, teme una concorrenza eccessiva dall’esterno, mentre all’opposto c’è chi, in particolare fra i politici, vede il rischio di non poter attribuire incarichi esterni senza coinvolgere preventivamente nella corsa tutti gli appartenenti ai ruoli. In un quadro come questo, il rischio di accompagnare gli incarichi con valanghe di ricorsi è concreto: la soluzione non è semplice, ma va trovata in fretta, perché il decreto va portato al traguardo entro la penultima settimana di novembre, giusto alla vigilia del referendum.
G.Tr. -Il Sole 24 Ore – 10 ottobre 2016