Ilvo Diamanti. Nel Veneto si respira ancora una forte domanda di indipendenza. Coinvolge quasi 6 persone su 10. Per la precisione: il 57%. Poco più di quanto emergeva da un precedente sondaggio di Demos (55%), giusto un anno fa. Quando, peraltro, appariva chiaro come “indipendenza” non significasse “secessione”, ma non-dipendenza. E, quindi, federalismo forte.
Capacità di esercitare pressione nei confronti di Roma capitale. Per questo la Lega, in questa regione, ha ottenuto tanto successo. Più e prima che nel resto d’Italia. Vale la pena di rammentarlo una volta di più, in questi tempi di ri-salita leghista: la Liga Veneta è “la madre di tutte le Leghe”. Come ebbe a definirla uno dei fondatori, Franco Rocchetta, in un’intervista del 1992 (a Marc Lazar). D’altronde, per prima fra le leghe, alle elezioni politiche del 1983, elesse due parlamentari. Da allora, fino ad oggi, ha sempre ottenuto risultati elettorali elevati. Alle ultime elezioni Europee ha superato il 15% E, attualmente, i sondaggi (Demos) la stimano oltre il 25%. Insieme alla Lombardia, è, dunque, la regione più “leghista” d’Italia. Rispetto alla Lombardia, però, la Lega del Veneto ha sempre contato meno. Non solo nella Lega, ma anche in Veneto. Perché (come rileva Francesco Jori nei suoi testi) l’autonomismo veneto, nella Lega, si è sempre arreso di fronte al centralismo lombardo. Di fronte a Bossi, a Maroni. Oggi a Salvini.
D’altronde, nel 1994, Rocchetta, fondatore e – all’epoca – Presidente della Liga Veneta, venne espulso dalla Lega Nord. Come il successore, Fabrizio Comencini, nel 1998. Entrambi “accusati” di aver rivendicato l’autonomia della Liga Veneta. Oggi, Flavio Tosi, sindaco di Verona e, dal 2012, segretario “nazionale” della Liga Veneta, sembra destinato a subire la medesima sanzione. L’espulsione dalla Lega Nord. Per l’intenzione, annunciata da tempo, di candidarsi alle prossime elezioni regionali del Veneto, che si svolgeranno in maggio, alla testa della sua Fondazione: “Ricostruiamo il Paese”. In contrasto con la volontà del governatore, Luca Zaia, e di Matteo Salvini. Che ne temono l’influenza, anche se la lista di Tosi sostenesse Zaia. Le strade di Salvini e Tosi, d’altronde, sembrano, da tempo, divergere. Salvini, com’è noto, mira a costruire la Ligue Nationale. Una Lega lepenista, che marcia su Roma si spinge a Sud e non ha paura, per questo, di allearsi con i neo-fascisti di CasaPound. Tosi, invece, ha intrapreso la strada opposta. Anche se ha una biografia politica di Destra, oggi si è avvicinato all’NCD. Ha espresso, in diverse occasioni, l’intenzione di partecipare alle primarie di Centro-destra. Se, effettivamente, vi fossero. È sindaco di Verona, rieletto nel 2012. E oggi guarda a Venezia. D’altronde, non ha alternative né futuro, altrimenti. Nella Lega di Salvini non ha spazio. E il peso della Destra berlusconiana è in costante calo.
Così cerca di farsi largo e di crearsi uno spazio politico specifico, approfittando delle prossime elezioni regionali. Si propone di condizionare la compagine leghista, in Regione, anche se non da Presidente. Luca Zaia, però, non ha alcuna intenzione di farsi affiancare da una figura scomoda come Tosi. Indisponibile ad accettare la leadership di altri “capi”, almeno in Veneto. Zaia, d’altra parte, gode di consensi molto ampi. Anche per il suo stile di governo: “democristiano”. Il governatore è, inoltre, molto presente sui media. E sul territorio. Non è un “decisionista”. Ma, per questo, non disturba i complessi equilibri di potere, in una regione attraversata da molteplici interessi e localismi. Anche nella vicenda che attualmente divide e oppone Salvini e Tosi, Zaia si è guardato dall’intervenire in modo esplicito. Ha lasciato che si esponesse Salvini. In fondo, è lui il candidato naturale della Lega. Successore di se stesso. Zaia: è nato e cresciuto a Conegliano, in provincia di Treviso (di cui è stato anche presidente). Uno dei luoghi genetici della Liga. Che si è sviluppata nella pedemontana veneta, costellata di piccole e medie città. Di piccole e medie imprese. Una realtà politicamente, distinta e distante dalla tradizione di Sinistra. Comunista e post-comunista. Tanto che, finita la stagione democristiana, si è rivolta alla Liga. E alla Lega. Fino a quando, almeno, ha avuto bisogno di “gridare” contro Roma. Per poi “arrivare a Roma”, insieme a Silvio Berlusconi e a Forza Italia.
È la doppia radice dell’autonomismo veneto. In equilibrio fra opposizione e governo. Quel che Edmondo Berselli ha battezzato, con un neologismo tanto suggestivo quanto geniale, Forzaleghismo. Una “corrente” sempre e da sempre guidata da altri. La Lega di lotta: da Bossi. Oppure – perché no? – da Grillo, quando, nel 2013, i voti di protesta, dalla Lega sono confluiti nelle liste del M5S. La Lega di Governo: guidata da Berlusconi insieme a Bossi e Maroni. E oggi, che il Veneto è diviso, fra domanda di lotta e di governo, i consensi politici “nazionali” si dividono: fra la Ligue Nationale di Salvini e il PD di Renzi. Il primo leader di Sinistra che abbia sfondato in Veneto. Perché non è percepito di Sinistra. Estraneo alla tradizione comunista e post-comunista. Tuttavia, quando si tratta del governo della Regione, i veneti non hanno dubbi e si rivolgono a destra. Al forza-leghismo. Interpretato, oggi, da Zaia. Un post-democristiano indipendentista. Non a caso, dopo la consultazione lanciata dai “venetisti” un anno fa, il governatore ha a fatto approvare al Consiglio regionale del Veneto una legge per indire un referendum sull’indipendenza della regione. Anche se incostituzionale, si tratta di una iniziativa “popolare”. Comunque vada, ne accrescerà il consenso personale.
Per questo, oggi, gli spazi di iniziativa, per Tosi, sono stretti. Il suo peso, nella Lega, è limitato. E anche sul piano elettorale non sembra in grado di creare grandi problemi a Zaia. Se Tosi si presentasse autonomamente, come ha annunciato, otterrebbe, secondo alcuni sondaggi, fra il 5 e il 10% dei voti. Potrebbe, al più, ridimensionare i consensi di Zaia, ma molto difficilmente al punto da impedirne la rielezione.
Così, la vicenda ripropone il singolare destino del leghismo veneto. Che, da un lato, proclama l’indipendenza da Roma, mentre, dall’altro, subisce la dipendenza da Milano. È il segno del forza-leghismo lombardoveneto. Molto più Lombardo che Veneto.
Repubblica – 9 marzo 2015