Monica Perosino, la Stampa. Il tempo è un’illusione, un’ostinata illusione diceva Einstein. In guerra che il suo fluire sia relativo a chi lo sta osservando, a chi lo subisce, è una certezza. Mentre uomini in giacca e cravatta, o in maglietta militare, decidono il quando, il dove, il come potranno aprirsi corridoi umanitari, qua sotto, nei bunker di Mariupol, alla stazione ferroviaria di Dnipro, nelle cantine di Zaporizhzhia ogni minuto potrebbe essere quello buono per fuggire, o semplicemente l’ultimo. Come uno stormo perfettamente coordinato centinaia di persone si sono messe in moto per mettere più spazio possibile – questo spazio fisico, reale – tra sé e le bombe. Ieri i quattro checkpoint che da Zaporizhzhia e dalla centrale nucleare portano a Nord, erano intasati. Colli di bottiglia con la paranoia che tra gli sfollati si nascondano sabotatori russi, «travestiti» da profughi, medici, giornalisti.
Valentyna sembra una bambola nella sua tutina imbottita rosa con il cappuccio, sta dormendo tra le braccia di uno sconosciuto: «La sto portando dalla zia a Dnipro», spiega Dmyrtus, seduto sul sedile del passeggero di un’auto sgangherata all’ultimo check-point prima della città. Dopo sei ore di viaggio per poco più di cento chilometri ce l’ha quasi fatta. Una volta in città «vedremo che cosa fare, dove andare. Tutti i nostri parenti sono a Mariupol e Kharkiv, non è sicuro lì». Ancora ieri, per il terzo giorno consecutivo, il sindaco di Mariupol ha denunciato la situazione drammatica della sua città, rimasta senz’acqua, riscaldamento, elettricità: «Dopo cinque giorni di attacchi russi sta finendo anche il cibo», dice mentre chiede disperato l’apertura di un corridoio umanitario per evacuare i civili. «Siamo semplicemente distrutti», ha detto Vadym Boychenko.
In questo tempo dell’illusione, in attesa di un nuovo round di colloqui diretti fra Mosca e Kiev, non si è fermata l’offensiva delle forze russe: ieri sono entrate nella città portuale di Mykolayiv, sul Mar Nero, a metà strada tra Kherson, caduta nei giorni scorsi, e Odessa. Continuano anche i pesanti bombardamenti su Kharkiv – la seconda città più grande del Paese – dove le autorità hanno contato più di 2.000 morti, fra i quali oltre 100 bambini. Ma contare è impossibile, ogni ora ci sono altre vittime e altri edifici vengono distrutti tra questi anche «scuole, centri culturali e università. La situazione è terribile, siamo stati bombardati e la gente sta finendo il cibo e l’acqua», ha detto Sergey Chernov, presidente del Consiglio regionale di Kharkiv.
Come diretti da un comando invisibile migliaia di persone stanno raggiungendo in queste ore Dnipro. Da qui i treni – che hanno ripreso a funzionare – rovesciano moltitudini stanche e terrorizzate appena arrivate da Oriente o da Sud. Da qui si cerca anche di muoversi verso Lviv, verso Occidente: «Sono già partiti due treni verso Ovest – dice Polina, 23 anni – ma non sono riuscita a salire, erano troppo pieni, le persone per salire ti strattonano, spingono, piangono». Piange anche lei, ha dormito in stazione, una notte lunghissima e fredda. I treni sono stati presi d’assalto, qualsiasi cosa si muova è un bene inestimabile. Ukrzaliznytsia ha programmato una serie di treni aggiuntivi da Kharkiv, Kryvyi Rih, Dnipro e Zaporizhzhia verso le regioni occidentali. Da giovedì non serve più il biglietto.
I civili sono sfiniti dal terrore delle bombe, a cui ora si aggiunge la paura delle radiazioni. Vera, 60 anni, a questo non era preparata: «Vivevo a poche centinaia di metri dalla centrale, ma mai nella vita ho pensato che qualcuno avrebbe potuto e voluto farla esplodere. Di fronte a tanto che cosa si può fare se non pregare Dio?».
Fatalmente, dopo l’iniziale incredulità del 24 febbraio, tra chi resiste e chi combatte ora si serrano le fila, e ci si protegge dalla propaganda e dalla paranoia, per quanto possibile. Ma iniziano a circolare voci e denunce difficilmente verificabili, come di uomini rapiti a Kherson o donne stuprate dai soldati russi «in numerose città», come ha denunciato ieri il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. Intanto, per non sbagliare, la Russia ha bloccato Facebook e Twitter in tutto il Paese, dunque due dei pochi canali alternativi alle notizie ufficiali, e rilancia le accuse contro Kiev, che «prepara azioni provocatorie a Kharkiv», usando i civili come scudi umani, «con il coinvolgimento di giornalisti occidentali», che denuncerebbero così che i raid russi colpiscono la popolazione. «Non è più il momento di parlare – dice Vera – o di ascoltare promesse che verranno tradite. Conoscono solo la lingua delle bombe, e a quelle risponderemo, con qualsiasi mezzo».