Quasi non si vedono, le piante di pomodoro uccise dal sole. Si piegano al suolo, si seccano e prendono il colore della terra. «Con il caldo che c’è sembra di essere alla fine di luglio – dice Gianpaolo Gentili, che produce l’oro rosso su 200 ettari di terreno – e invece mancano ancora 45 giorni all’inizio del raccolto. Sarà un inferno». Qui la Valpadana incontra la valle del Nure e poi quelle del Trebbia, dell’Arda e del Tidone. I fiumi che scendono dall’ Appennino sono tutti asciutti, gli invasi sono vuoti. Se la pianura soffre, la montagna è disperata. «Da sempre – racconta Marco Crotti, coltivatore e presidente della Coldiretti piacentina– in montagna è quasi impossibile irrigare. Nelle nostre montagne l’ultima pioggia vera è arrivata nell’ottobre scorso, poi solo qualche goccia. E adesso che il grano sta maturando, si scopre che le spighe sono secche e vuote. E il foraggio – l’altra produzione importante – è dimezzato ».
Fiumi e torrenti senz’acqua e un sole che spacca. Purtroppo quella piacentina non è una situazione particolare. In tutta Italia la siccità sta colpendo duro. Il Po è sceso di 2,59 metri sotto lo zero idrometrico (1,20 in meno rispetto all’anno scorso) e nel bacino idrico del grande fiume nasce il 35% della produzione agricola nazionale. Secondo la Coldiretti, dopo un inverno con il 50% di acqua e neve in meno, è arrivata una primavera con un deficit di pioggia pari al 48%. Sono già secche fontane e gli abbeveratoi di montagna che “buttavano “ anche ad agosto. L’Emilia Romagna ha chiesto lo stato di emergenza ma ci sono problemi seri in Veneto, Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Puglia…Nelle Marche si stanno seccando i campi di mais e di girasole. Gli impianti irrigui dell’Agro Pontino debbono fare i turni per il prelievo di acqua, mentre il “granaio d’Italia” di Foggia e Bari ha dimezzato le proprie spighe.
Il Wwf dice che anche nelle proprie oasi – dove l’acqua non è mai mancata – ci sono problemi di siccità. «Un quinto dell’Italia – denuncia l’associazione ambientalista – è a rischio di desertificazione ».
«Il rischio esiste – dice Roberto Moncalvo, presidente nazionale della Coldiretti – se restiamo a guardare. Di fronte alla tropicalizzazione del clima, se vogliamo mantenere un’agricoltura di qualità, dobbiamo organizzarci per raccogliere l’acqua nei periodi più piovosi. Occorrono interventi strutturali per la manutenzione, il risparmio, il recupero e il riciclaggio delle acque, creando bacini aziendali, utilizzando le ex cave e le casse di espansione dei fiumi per raccogliere l’acqua».
La provincia di Piacenza è la seconda in Italia (dopo Foggia) per la produzione di pomodoro per l’industria di trasformazione. Capire cosa sta succedendo qui può essere utile per cercare di comprendere il futuro della nostra agricoltura. «Anch’io – racconta Marco Crotti – produco pomodori e anch’io su sei ettari ho dovuto rimettere le piantine in campo per sostituire quelle uccise dal caldo. Per questa operazione per ogni ettaro si spendono dai 1.000 ai 1.500 euro in più e si rischia di non recuperare le spese. Il pomodoro – se riusciremo a produrlo in buona quantità e buona qualità – ci sarà pagato 79,975 euro alla tonnellata, qualcosina in meno di 8 centesimi al chilo. In questo anno pazzo non c’è stato solo il caldo anticipato. Il 18 aprile c’erano 30 gradi e allora ho fatto arrivare nel cortile dell’azienda decine di migliaia di piantine pronte per il trapianto. Alla notte – non succede nemmeno nel deserto – la temperatura è scesa a meno 2 gradi e quasi tutte l piantine sono gelate. Nella serata di mercoledì in alcune zone della nostra provincia è arrivato un fortunale, con vento fortissimo e fino a 80 millimetri d’acqua caduti in mezz’ora. Campi allagati e soprattutto frumento – ormai pronto al taglio – “allettato”, buttato a terra come fosse passato sotto un rullo. Potremo raccoglierlo, ma ne perderemo dal 20% al 50%. La pioggia arrivata ha bagnato appena la superficie. Oggi ci sono già 30 gradi, domani saranno 35, e così nei campi ci saranno le crepe, che impediranno l’uso degli impianti di irrigazione goccia a goccia. Ammesso che l’acqua ci sia, perché una delle nostre due dighe, quella di Mignano, è da oggi ufficialmente vuota e l’altra è stata riservata all’uso potabile. In una situazione come questa, quanti vorranno investire in agricoltura?».
«Siamo in un momento molto delicato », dice Francesco Vincenzi, presidente nazionale dell’Anbi, l’associazione delle bonifiche italiane. «Quest’anno la prima crisi idrica è arrivata già a marzo, e non a fine luglio e agosto come in passato. Dobbiamo riuscire a fare maturare il granoturco (alimento base per le vacche del parmigiano e del grana) che adesso ha il pennacchio e rischia di non buttare fuori pannocchie sane e piene. Noi, anche grazie ai nostri nonni e bisnonni, gli impianti li abbiamo: 200.000 chilometri di canali, con 750 pompaggi idrovori. Ma in Italia gli ettari irrigati sono 3,3 milioni, contro i 12 milioni di Sau (superficie agricola utilizzata). Per fare capire cosa significhi irrigazione, basta dire che un ettaro non irrigato produce 1.000, quello che si può bagnare 13.500. Non basta risparmiare l’acqua, bisogna trattenerla. Servono invasi, grandi e anche piccoli. Per fortuna oggi il ministero dell’Agricoltura ha annunciato un finanziamento di 107 milioni ai consorzi di bonifica. Si è capito che per avere un futuro bisogna darsi da fare».
Repubblica – 16 giugno 2017