Sei milioni e cinquecentomila metri cubi d’acqua. È quanto manca all’appello nei fiumi, nelle falde acquifere e negli acquedotti veneti, asciutti come non succedeva da oltre un decennio, dopo un inverno senza pioggia. «Per riequilibrare il deficit pluviometrico, sarebbero necessari nel prossimo mese 200 millimetri di precipitazioni», ha scritto l’Arpav nel report consegnato alla Regione i primi di aprile. Dalle Dolomiti alla foce dell’Adige, la terra è secca e il letto dei corsi d’acqua si è ristretto, come nelle estati più torride. E senza precipitazioni le falde venete, di solito ricche, stanno perdendo 0,3 metri d’acqua ogni mese: un’enormità, per gli esperti.
Nelle zone più colpite dalla siccità, sono già partiti gli interventi per arginare l’emergenza. Martedì, a Belluno, il prefetto Francesco Esposito ha convocato un vertice sulla carenza idrica e ora, contro il rischio di trovarsi a secco, arriveranno cisterne per rimpolpare le riserve degli ospedali e ai cittadini verrà chiesto di non sprecare acqua, magari lavando l’auto di casa. A Vicenza, invece, la Protezione civile regionale, in queste ore, sta inviando i mezzi dell’anti-incendio boschivo, le cui cisterne sono molto capienti, con acqua da destinare all’acquedotto civile. «Stiamo seguendo l’emergenza da mesi – spiega l’assessore regionale all’Ambiente Gianpaolo Bottacin -, le Prefetture stanno monitorando tutto il territorio e sono stati allertati anche i sindaci». La Regione ha chiesto ai primi cittadini di emettere ordinanze urgenti per invitare i cittadini a contenere i consumi, un po’ come accade quando, d’inverno, lo smog è alle stelle. «Le ordinanze arriveranno solo e dove ce n’è necessità», sottolinea Bottacin.
Uno dei problemi più seri è l’assenza di neve in montagna. Di solito, con l’arrivo della bella stagione, il manto nevoso si scioglie e porta a valle migliaia di litri d’acqua che rimpolpano falde, torrenti e fiumi. Non quest’anno, però. Il cumulo di neve fresca è infatti il più basso dagli anni ‘30: nemmeno nel 2003, l’anno più arido del nuovo secolo, ha nevicato così poco. Il deficit di precipitazioni nevose è arrivato quasi all’80 per cento nelle Prealpi, al 70 tra i 1600 e i 1300 metri e al 50 per cento sopra i 2200. Ci sono 680 chilometri quadrati di neve, tra il 65 e il 75 per cento in meno della media degli ultimi sei anni.
«Dopo Pasqua si riunirà di nuovo l’unità di crisi – dice l’assessore all’Agricoltura Giuseppe Pan -, ma è assolutamente necessario che piova: la situazione è molto critica, le semine sono in ritardo e se attendiamo altri 15, al massimo 30 giorni, rischiamo di perdere raccolti». Pan si riferisce, nello specifico, al mais. Sul fronte degli alberi da frutta e delle viti, c’è ancora un po’ di tempo. «Il caldo dell’inverno ha anticipato le fioriture di un mese – aggiunge -, vedremo nei prossimi mesi le conseguenze di quest’inverno all’asciutto».
Per trovare un’annata simile, calda e senza precipitazioni, bisogna andare indietro di quattordici e di ventitrè anni e cioè al 2003, che tutti ricordano più per l’estate torrida che per la siccità, e al 1994, altra annata difficile per il Veneto. «La situazione è sotto controllo – continua Bottacin -, tutte le criticità sono monitorate e la priorità va sempre all’uso domestico». Quando l’acqua scarseggia, per prima cosa, viene calmierato l’uso agricolo, com’è stato deciso il 4 aprile. Per ora, chi lavora nei campi ha dovuto diminuire del 20 per cento i propri consumi. Inoltre, la Regione ha aperto il confronto con le province autonome di Trento e Bolzano e con il Friuli Venezia Giulia per capire come intervenire sui fiumi Adige, Po e Livenza. «L’importante è che riprenda a piovere, basta che la pioggia non scenda tutta in un colpo, allora avremmo anche altre emergenze – conclude Bottacin -, non ci fossero precipitazioni fino a settembre, allora sì avremmo serie difficoltà».
Gloria Bertasi – Il Corriere del Veneto – 13 aprile 2017