La Stampa. Nel 2020, anno primo della pandemia, erano un fenomeno irrilevante. Poi nel 2021 se ne sono contati duemila, saliti a 2.870 l’anno successivo. Ma ora si rischia l’emorragia, una fuga dall’Egitto di dimensioni bibliche. Perché stanchi di turni massacranti, demoralizzati dall’assenza di prospettive di carriera, visto che con il taglio di 30mila posti letto in dieci anni sono sfumati anche migliaia di posti da Primario, arrabbiati per le buste paga più basse d’Europa, sono 5mila i medici ospedalieri che negli ultimi sei mesi hanno chiesto al loro sindacato più rappresentativo, l’Anaao, informazioni per fare armi e bagagli dicendo addio alla sanità pubblica. Una parte per andarsene all’estero, altri per lavorare privatamente, un’altra fetta per ritirarsi anticipatamente in pensione. Come se non bastasse altrettanti hanno alzato il telefono per farsi fare dallo stesso sindacato un po’ di conti su quanto perderebbero non lavorando più in esclusiva per l’Ssn, ma acquisendo piena libertà di lavorare privatamente “a studio”. In tutto 10mila camici bianchi pronti a lasciare del tutto il lavoro in corsia o a ridurre le presenze.
A riferirci i numeri di questo malessere montante è Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao. «Dalle chiamate che riceviamo in continuazione abbiamo la chiara percezione che meno si sta in ospedale e meglio ci si sente. E chi può se ne va».
Il 15 giugno i medici ospedalieri hanno manifestato un po’ in tutta Italia contro le condizioni precarie di lavoro e le difficoltà nell’erogare livelli accettabili di assistenza, come dimostrano liste d’attesa e caos dei pronto soccorso. «La Sanità pubblica è allo stremo – prosegue Di Silverio – da questo momento o si agisce in fretta o noi siamo pronti a tutto pur di impedire la disgregazione del servizio sanitario nazionale. Se arriveremo allo sciopero non sarà di un giorno, così come di sicuro non sarà l’unico strumento estremo che useremo, non escluse le dimissioni di massa». Alle quali in tanti stanno già pensando senza aspettare le indicazioni sindacali. Tanto più se la trattativa per il rinnovo di un contratto 2019-21 già scaduto non prenderà un’altra piega rispetto a quella che attualmente promette un aumento medio del 4%, che è la metà del salario già corroso dall’inflazione.
I camici bianchi però non rivendicano soltanto soldi ma condizioni migliori di lavoro, visto che ognuno di loro accumula in media 300 ore di lavoro extra che non vengono né pagate e nemmeno recuperate. I sindacati di categoria chiedono poi che le aziende sanitarie e ospedaliere smettano di utilizzare i soldi dei cosiddetti “fondi di posizione” per la carriere e quelli “di risultato” per pagare gli straordinari. «Che in pratica ci vengono remunerati con i nostri stessi soldi», chiosa il segretario dell’Anaao. Che insieme alle altre sigle di categoria si prepara alla serrata a settembre se dal Governo non arriveranno risposte concrete alle loro richieste.
Intanto però c’è da capire se i reparti dei nostri ospedali questa estate chiuderanno per ferie, visto che tra carenze di organico e fuga dal servizio pubblico non sarà facile sostituire chi per contratto ha diritto ad almeno 15 giorni di vacanze da prendere quando si vuole. Ossia, come pressoché tutti chiedono, a luglio ed agosto. E le difficoltà maggiori si incontreranno proprio nella medicina di emergenza e urgenza, nelle sale operatorie dove scarseggiano gli anestesisti, nei reparti di infettivologia e, in generale, per tutte quelle specialità mediche dove si lavora quasi esclusivamente per il pubblico perché c’è poca richiesta di visite private. Che sia così lo mostrano i numeri dell’altra grande fuga: quella dei giovani dalle specializzazioni meno remunerative. Da un lato infatti è rimasto scoperto solo lo 0,4% dei posti nella dermatologia, gettonatissima nel privato. E altrettanto dicasi della chirurgia plastica, dove appena il 2,32% delle borse di studio non è stato assegnato. Dall’altro invece il 78,3% dei posti in virologia e microbiologia sono rimasti senza giovani aspiranti specialisti, che nonostante le virostar hanno preferito settori dove le visite a studio sono più richieste. Non assegnate anche il 61% delle borse di studio in medicina di emergenza e urgenza, quelle che spalancherebbero poi le porte dei pronto soccorso, una volta considerati palestra indispensabile alla carriera, oggi equiparati solo a un inferno dal quale fuggire.
Ora i ministri della Salute e dell’Università, Schillaci e Bernini, si apprestano ad accogliere 3mila aspiranti medici in più nelle Facoltà di medicina. «Ma così passeremo solo da un imbuto formativo o ad uno lavorativo perché con l’aumento delle borse di studio che già c’è stato di medici tra qualche anno ne avremo a sufficienza. Il problema è invece rendere più attrattive quelle specialità mediche oggi snobbate dai giovani», afferma Di Silverio.
Per i medici del pronto soccorso Schillaci qualche soldo in più sotto forma di incentivi economici è riuscito a rastrellarlo. Trovarli anche per gli altri medici in fuga sarà un’impresa. —