Michele Bocci. Tutti lo criticano, lo vorrebbero cancellare, lo accusano di allontanare i malati dal sistema sanitario pubblico, eppure le Regioni non potrebbero farne a meno. L’odiato ticket dà alle casse della sanità locale un po’ di respiro, facendo entrare soldi freschi in fondi sempre più spompati. Il problema è che la tassa non assicura introiti uguali per tutti. I dati di Agenas, l’Agenzia nazionale delle Regioni, rivelano grandi differenze di incasso per le varie realtà locali e quindi di spesa pro capite. A pagare meno sono gli abitanti delle regioni del Sud, dove le false esenzioni sono più diffuse ma anche dove la crisi batte più duramente. I siciliani sborsano in media 8,7 euro, i veneti 36,2.
Non solo, analizzare il gettito del ticket per la specialistica (visite, analisi e esami) permette di capire quanto lavora il sistema sanitario nazionale. La risposta? Sempre meno. L’attività si è contratta: tra il 2012 e il 2015 la spesa dei pazienti italiani è calata del 9%, arrivando a un miliardo e 400 milioni di euro. E questo malgrado ogni tanto qualche Regione ritocchi verso l’alto le tariffe, spesso assai diverse da una all’altra.
Non è facile dire perché sono state richieste meno prestazioni pubbliche. Secondo alcuni osservatori, i pazienti si sono spostati nel privato puro, dove non ci sono le liste di attesa e talvolta si spende lo stesso o addirittura si risparmia rispetto al costo del ticket. Però anche i dati, sempre di Agenas, sulla libera professione intramoenia, che è a pagamento, raccontano di un calo di prestazioni del 9%. E allora, a voler essere ottimisti, potrebbe esserci anche un po’ più di appropriatezza nelle prescrizioni, cioè un’attenzione di medici e pazienti a evitare gli esami inutili.
L’unica grande Regione a non aver visto un calo degli introiti da ticket sulla specialistica nel 2015 rispetto al 2012 è l’Emilia-Romagna, che ha segnato un +4,8%. I suoi cittadini spendono in media quasi 36 euro l’anno per la tassa su esami e visite. Il dato pro capite è in linea con quelli di Toscana, Veneto, Friuli, Trento e Bolzano. Al Sud cambia tutto, e c’è chi non arriva nemmeno ai 10 euro, come Campania e Sicilia, o li sorpassa di poco, tipo Puglia e Cala- bria. Altri stanno comunque sotto ai 23 euro di media spesi in Italia. Il sospetto è che le regioni meridionali siano zavorrate dalle esenzioni, che possono essere per patologia, invalidità o reddito- età (riguardano chi ha meno di 6 o più di 65 anni e un reddito familiare sotto i 36mila euro). Si stima che in certe realtà addirittura l’80% di coloro che si rivolgono alla sanità pubblica abbiano un certificato di esenzione, un dato enorme che fa pensare a una alta diffusione di falsi esenti. Finisce così che la Campania incassi in un anno 56 milioni di euro e l’Emilia Romagna, che ha oltre un milione di abitanti in meno, 159 milioni. La Regione che più avrebbe bisogno di soldi ne vede entrare molti meno.
Tra falsi esenti, tariffe ballerine e bilanci in difficoltà si è completamente perso il significato iniziale dei ticket. «Sono nati come strumento per migliorare l’efficienza, rendere le prescrizioni più appropriate e dare equità al sistema», dice Francesco Bevere, direttore generale di Agenas: «Ora dobbiamo evitare che un eccesso di ticket allontani le persone dal servizio pubblico. Inoltre non dovrebbero esserci queste differenze tra i diversi territori regionali». Secondo il direttore dell’agenzia «sarebbe utile ridefinire la regolazione dei ticket, così da consentire da una parte una possibilità di applicazione differenziata a seconda delle regioni, e dall’altra, soprattutto nelle realtà in piano di rientro, stabilire tetti massimi di spesa a salvaguardia dell’accesso alle prestazioni che sono nei livelli essenziali di assistenza. Così da evitare che chi non ha reddito sufficiente si allontani da cure importanti». Ma di una riforma del ticket si parla senza arrivare a risultati ormai da troppo tempo.
L’INTERVISTA / IL PRESIDENTE VENETO ZAIA. “Chi non riesce a incassare andrebbe commissariato”
«Non sono Regioni virtuose, ecco perché incassano di meno dai ticket». Il presidente del Veneto Luca Zaia non fa sconti agli altri quando si tratta di mettere a confronto i sistemi sanitari. E se di mezzo ci sono anche i soldi i suoi giudizi diventano ancora più netti.
Perché i vostri cittadini spendono più di quelli delle realtà del Sud per i ticket?
«Intanto voglio far notare che questo avviene anche se noi non abbiamo mai aggiunto il superticket regionale a quello di base nazionale. I nostri numeri dimostrano la correttezza del nostro personale e dei nostri cittadini, che non fanno i furbi».
Avrete anche voi cittadini esenti, no?
«Certo e pure una bella fetta, circa 2 milioni di persone. Ma una regione virtuosa non può avere una spesa pro capite per il ticket di 9-10 euro. Del resto questi dati riguardano realtà con bilanci disastrati, che esportano pazienti. Sono tanti gli indicatori che ci dicono che qualcosa non funziona ».
Cosa farebbe?
«La sanità di quelle Regioni andrebbe commissariata. Ed è scandaloso che il Governo nell’ultima legge di Stabilità abbia tolto il divieto per il governatore di fare il commissario della sanità. Nomina così chi ha fatto il disastro a commissariare sé stesso. Le esenzioni vanno controllate, i dati anomali sono legati a quelle false, probabilmente. Ma i problemi sono tanti. Visto Loreto Mare? Un quarto dei dipendenti non va a lavorare, vi sembra una cosa normale? Se succedesse così da noi, andrebbe a casa prima il governatore, poi tutta l’amministrazione e i direttori generali. Il problema è che questo Paese si è assuefatto a tutto».
Come interpreta il calo degli introiti da ticket?
«Qui da noi è multifattoriale. Da un lato di certo ha a che fare la crisi, che ha portato a un’attenzione maggiore alle spese, dall’altro però anche con l’appropriatezza delle cure. Noi abbiamo agito insieme ai medici di base, perché non si prescrivano in continuazione esami che non servono ai cittadini. Vanno responsabilizzati tutti i professionisti. Di certo, nel dato non ha un peso importante lo spostamento dei pazienti verso privato, perché da noi ci sono poche strutture non pubbliche».
Come si superano le difficoltà, anche economiche, della sanità di questi anni?
«La sanità per funzionare deve avere sempre al centro l’ammalato, ma intorno la gestione deve essere manageriale in modo ossessivo, con un controllo di gestione da grande industria. Noi, ad esempio, facciamo 94mila buste paga, abbiamo 68 ospedali, garantiamo 80 milioni di prestazioni sanitarie e ai nostri pronto soccorso accedono 2 milioni di persone all’anno. Con questi numeri dobbiamo controllare tutto in modo maniacale per tenere sotto controllo conti e attività. Ho invece l’impressione che in alcune Regioni la sanità abbia una gestione di manica larga».
L’INTERVISTA / IL GOVERNATORE SICILIANO CROCETTA “Sì, ci sono troppi furbi ma anche tanta povertà”
«Stiamo cercando di scoprire chi fa il furbo, chi trucca le carte per non pagare il ticket sanitario. Ma il vero problema è un altro: in Sicilia incassiamo poco perché c’è una forte povertà e molte persone pur di non pagare vanno al pronto soccorso». Il governatore siciliano Rosario Crocetta non è per nulla sorpreso degli scarsi incassi da ticket sanitario nell’Isola.
Non pensa che quello siciliano sia un dato anomalo? Che ci sia chi cerca di non pagare facendo il furbo?
«Noi gli evasori, chi cerca di non rispettare le regole, li stiamo stanando. Basta pensare al caso dei disabili gravi: prima dei controlli ne risultavano 3.600 e adesso, dopo le nostre verifiche, sono scesi a 2.400. Il tema delle esenzioni facili per legge 104, per disabilità o per malattie è inoltre un fenomeno che purtroppo riguarda tutto il Mezzogiorno. Ma i numeri bassi del ticket sono dovuti a ben altro».
Perché allora la Sicilia s’incassa così poco?
«Le cause vere sono la povertà e il malcostume. Mi spiego meglio: nonostante i segnali di ripresa di questi anni, è indiscutibile che la Sicilia sia ancora molto povera, con redditi bassi ed elevata disoccupazione. Ma abbiamo anche un enorme afflusso di persone nei nostri pronto soccorso. Chi non vuole pagare il ticket, o non può permetterselo, va al pronto soccorso e si fa fare gli esami».
Ma al pronto soccorso i medici assegnano i codici in base alla gravità dei casi e i codici bianchi pagano.
«Certo, e qui c’è un problema sociale: molti medici di fronte ad anziani in difficoltà o a famiglie non certo benestanti assegnano dal codice giallo in su così le persone non pagano il ticket. Per certi versi li posso pure capire: non possiamo perseguitare sempre chi è in difficoltà e ha problemi ad arrivare alla fine del mese».
Ma non è comunque uno spreco per il sistema sanitario regionale non far pagare chi dovrebbe?
«Per questo stiamo cercando di riformare tutta la rete sanitaria territoriale: vogliamo trasformare le guardie mediche in presidi territoriali sanitari, evitando l’afflusso anomalo nei pronto soccorso e dando una maggiore assistenza con controlli migliori. Attendiamo a giorni il via libera da parte del ministero alla nostra rete ospedaliera per sbloccare le assunzioni e dare una maggiore assistenza territoriale».
Non pensa che nell’Isola ci sia anche una elevata evasione fiscale da un lato e dall’altro troppi privati convenzionati che fanno concorrenza al sistema pubblico?
«Non penso che i privati facciano pagare meno del pubblico. L’evasione c’è, ma qui il problema vero, ripeto, è la povertà. Secondo me andrebbe cambiato il sistema di esenzione dei ticket, puntando a far pagare di più i ricchi e meno i poveri. Ma questa è una competenza dello Stato, non della Regione: noi abbiamo abolito tutti i ticket aggiuntivi regionali, di più non possiamo fare».
Repubblica – 12 marzo 2017