Pensioni di anzianità al Nord, assegni sociali e invalidità civili al Sud. Bisogna partire da qui per capire i contrasti di interessi che agitano il dibattito sulla previdenza nella maggioranza.
A spostare a Nord il baricentro previdenziale sono le pensioni di anzianità, caratterizzate da una distribuzione che la geografia industriale del Paese fa intuire facilmente ma che i numeri dei censimenti Inps rendono più plateale. Gli assegni di anzianità erogati ogni mese dall’Istituto di previdenza sono poco meno di 4 milioni, ma per due terzi si concentrano nelle Regioni del Nord e la Lombardia da sola ne accumula quasi un milione. In rapporto alla popolazione, la densità massima si raggiunge in Piemonte, con più di 100 assegni ogni mille abitanti, seguito a ruota da Emilia Romagna e, appunto, Lombardia: in Campania e Calabria, per fare un confronto, lo stesso rapporto si ferma sotto quota 25 assegni per mille abitanti, con una densità quattro volte inferiore a quella piemontese.
Le coordinate della previdenza, non solo quelle geografiche, non possono lasciare indifferenti i 30-40enni, soprattutto i parasubordinati e i “discontinui” (vale a dire, con periodi non coperti da contribuzione), i quali sperano che un’eventuale riforma possa servire a finanziare un ridisegno delle regole e non solo a tamponare i conti pubblici. Sui quali la spesa previdenziale pesa come un macigno, che – per le sole pensioni di vecchiaia e anzianità dell’Inps vale oltre 125 miliardi all’anno, di cui una grossa fetta pagati a persone di età fra i 45 e i 59 anni.
Certo, i dati dell’Inps interessano molto la politica, sempre più ancorata a riferimenti territoriali (non solo in casa leghista) e ansiosa di dover spiegare agli elettori di casa propria le ragioni delle diverse scelte. Il problema non sono tanto i titolari delle pensioni attuali; il punto sono le aspettative a breve-medio termine dei lavoratori dipendenti, soprattutto del settore privato dove si concentra l’ampia maggioranza delle anzianità, che si stanno avvicinando all’età di uscita dal lavoro e si vedrebbero imporre i tempi supplementari, con scaloni non indifferenti se dovessero avere la meglio le ipotesi più drastiche sul tramonto dell’uscita anticipata di anzianità.
I “rapporti di forza” territoriali fra le diverse categorie previdenziali dipendono dal profilo locale del mondo del lavoro: se la pensione di anzianità è il “prodotto tipico” del lavoro dipendente nel settore privato, quella di vecchiaia ha caratteristiche più universali, e di conseguenza è meno unidirezionale. In Molise, dove la pensione di vecchiaia raggiunge la diffusione più intensa, arrivano 36mila assegni ogni mese, uno ogni 113 abitanti: il doppio esatto rispetto a quello che succede nelle anzianità, dove Campobasso e dintorni viaggiano poco sotto la media nazionale.
La prevalenza meridionale, invece, è netta quando si passa agli assegni sociali e a quelli destinati all’invalidità civile. Se sul primo versante la ragione è ovvia, e dipende proprio dalla stessa struttura produttiva debole che spiega la carenza di pensioni di anzianità, il secondo fatica ancora a trovare una spiegazione logica “ufficiale”. Le ondate di controlli alimentate negli ultimi tre anni dall’Inps per revocare le false pensioni di invalidità hanno avuto effetti importanti, limando il monte di assegni dai 3,2 milioni che si registravano nel 2008 ai 2,78 milioni attuali. A non cambiare, però, è la distribuzione territoriale dell’intervento, che con l’eccezione dell’Umbria, è tutta puntata a Sud.
Il Sole 24 Ore – 25 ottobre 2011