La notizia arriva dal cuore di Parigi ed è destinata a fare rumore: la Commissione degli Affari Sociali del Senato ha votato una risoluzione entro il Sistema di Sicurezza Sociale Francese, che farà lievitare la tassa sull’olio di palma addirittura del 300%. E’ la seconda tassa francese su cibi o ingredienti insalubri, dopo quella sulle bevande zuccherate (vai a link).
In una nota rimbalzata su Agrapress, si legge: “olio di palma, usato in tantissimi prodotti come la Nutella”. In realtà, si farebbe prima a dire che l’olio di palma è il principale ingrediente, insieme a zucchero e farina, di oltre il 90% delle referenze dolciarie e di prodotti da forno presenti sugli scaffali della distribuzione moderna. Costi bassi, buon sapore, facilità di stoccaggio, trasporto e trattamento ne fanno un partner ideale per l’industria alimentare. Peccato che gli effetti sulla salute pubblica non siano dei migliori. Gli oli tropicali infatti sarebbero ricchi non solo di grassi saturi, ma grassi saturi a catena corta, particolarmente dannosi per le arterie in quanto in grado di legarsi alle pareti con maggiore facilità (e questo, ad esempio, a differenza del burro).
L’olio di palma è poi al centro di un annoso dibattito. Non solo aspetti riferiti alla salute umana, ma anche alla deforestazione e coltivazione delle palme, la cui produzione è concentrata quasi esclusivamente in Malesia ed Indonesia (zone ricche di biodiversità peraltro, e che si stanno dedicando alla monocultura). L’olio di palma è usato anche per saponi, ed in ragione dell’alta resa della pianta, l’ Elaeis guineensis, è di fatto una commodity globale. Infatti con un ettaro di terreno si arriva a produrre 3,74 tonnellate all’anno, contro le 0,38 dell’olio di soia, le 0,48 dell’olio di girasole, le 0,67 dell’olio di colza. Sembra improbabile che senza incentivi o disincentivi esterni le industrie vogliano smettere di utilizzarlo, in ragione della fiera competizione sui costi che da 15 anni imperversa in Europa, rendendo la filiera alimentare difficilmente sostenibile.
L’ultima azione pro-competitiva utilizzata da alcune industrie riguarda l’utilizzo -opportunamente visualizzato in etichetta- di “grassi vegetali non idrogenati”, che stando a diversi pareri, dovrebbero essere meno dannosi. Infatti, l’idrogenazione è quel processo che porta allo stato solido i grassi. In tal modo, i grassi diventano facilmente conservabili. E’ il processo-per intenderci- che si utilizza nella produzione di margarina. Con l’idrogenazione però si producono i famigerati grassi- trans, il cui consumo non dovrebbe mai superare il 2% dell’energia totale acquisita su base giornaliera, e che in ogni caso sono sconsigliati (effetti negativi conclamati su salute cardiovascolare). Insomma, una buona mossa, ma non risolutiva.
…Contro i trucchi in etichetta
Proprio in questi giorni, la Commissione Europea ha pubblicato il Reg. (CE) 1047/2012, che corregge il precedente reg. 1924/2006 sui vanti nutrizionali e salutistici. Nello specifico, in base al nuovo regolamento, le indicazioni relative alla presenza di grassi risultano cambiate come segue al fine di dare una corretta informazione ai consumatori. E per impedire all’industria di usare il trucco seguente: sostituire grassi saturi con ancora più dannosi grassi trans, ma nel contempo visualizzando in etichetta tale cambiamento camuffatto da miglioria (es, “a ridotto contenuto di grassi saturi”, quando in realtà gli ingredienti sostitutivi riguardavano grassi trans, ben peggiori!).
In particolare nel dettato si legge:
Circa la voce relativa all’indicazione “a tasso ridotto di [nome della sostanza nutritiva]” si specifica che:
«L’indicazione “a tasso ridotto di grassi saturi” e ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il consumatore è consentita solo:
a) se la somma degli acidi grassi saturi e degli acidi grassi trans nel prodotto riportante l’indicazione risulta inferiore almeno del 30 % alla somma degli acidi grassi saturi e degli acidi grassi trans in un prodotto analogo; nonché
b) se il contenuto in acidi grassi trans del prodotto riportante l’indicazione è uguale o inferiore a quello rintracciabile in un prodotto analogo.
Le risposte della filiera
Una risposta interessante che arriva da Coldiretti Piemonte, per creare risposte sostenibili per la salute e per l’ambiente, ed in relazione alla possibile tassazione da parte del governo francese dell’olio di palma, evidenzia che “con la multinazionale Ferrero, ed in particolare con la dirigenza dello stabilimento di Alba – si e’ intrapreso da alcuni anni un percorso virtuoso che vede l’utilizzo da parte della nota azienda dolciaria di prodotti del territorio”. “Uno su tutti – dicono Paolo Rovellotti e Bruno Rivarossa, presidente e direttore della Coldiretti Piemonte – il progetto della polvere di latte che vede trasformare dalla ditta Inalpi per Ferrero il latte piemontese. I fatti accaduti in Francia possono ricevere da noi una risposta nell’implementazione della virtuosa filiera con l’agricoltura e i prodotti del nostro territorio. L’olio di palma potrebbe essere sostituito qui da altri alimenti quali nocciole e burro. Questo rappresenterebbe sicuramente un momento di valorizzazione della produzione agricola locale con buona soddisfazione per tutti i componenti della filiera economica piemontese. Si tratta insomma di guardare l’altra faccia della medaglia da parte di una multinazionale che fonda le proprie radici in un territorio dove le eccellenze agroalimentari ed il brand del made in italy rappresentano nel mondo un plus di grande rilievo”. “Siamo pronti a continuare l’interazione con la Ferrero – affermano il presidente e il direttore della Coldiretti Piemonte – per rafforzare un percorso di territorio che questa grande multinazionale ha saputo iniziare nell’interesse dell’economia locale e di tutti i consumatori. Se l’industria dolciaria lo ritiene la strada per implementare la collaborazione esiste”.
sicurezzaalimentare.it – 13 novembre 2012