Claudia Voltattorni. Da una parte i ricchi sono sempre più ricchi. Dall’altra, i più poveri continuano a vedere calare i propri redditi. È ciò che accade in Italia dall’inizio della crisi al 2016 secondo la fotografia scattata da Eurostat che rivela come nel nostro Paese siano aumentate le disuguaglianze sociali e il divario tra chi ha redditi più alti e chi ha meno disponibilità è sempre più ampio. A scapito della classe media, ancora più ristretta.
Parlano i numeri. Nel 2008, la parte più povera della popolazione in Italia poteva contare su un reddito che corrispondeva al 2,6% del totale. Durante gli anni della crisi, il reddito si è assottigliato fino ad arrivare all’1,8%. Cosa che non è avvenuta per i più benestanti, passati a detenere quasi un quarto dei redditi, saliti al 24,4% nel 2016 dal 23,8% del 2008, più della media europea ferma al 23,9% (dal 24,2% del 2008). L’Eurostat ha quindi calcolato che in sei anni, dal 2010 al 2016, la disuguaglianza della distribuzione del reddito è salita dal 31,7% al 33,1. La Bulgaria, con il suo 38,3%, ha il divario più ampio d’Europa. Slovacchia e Slovenia i più bassi: 24,3 e 24,4.
Non si stupisce Enrico Giovannini, ex presidente Istat e docente di statistica all’università Tor Vergata di Roma: «Quelli di Eurostat sono dati che evidenziano come in Italia, più che in altri Paesi, le disuguaglianze continuino a crescere, non solo nel reddito ma anche nella ricchezza, come già hanno rilevato sia l’Istat che la Banca d’Italia». Non solo. «Se una volta a rischio povertà erano i più anziani – continua Giovannini -, oggi in pericolo sono soprattutto giovani e adulti, questo perché il welfare finora ha difeso i più anziani, non i più poveri».
Uno studio di Unimpresa ha contato oltre 9 milioni e trecentomila italiani a rischio povertà: dal 2016 al 2017 «altre 128 mila persone sono entrate nel bacino dei deboli», questo perché aumentano i lavoratori precari con occupazioni instabili e retribuzioni molto basse. È questo il punto, spiega Giovannini: «La ripresa economica in Italia ha generato molti lavori poveri, sono impieghi frammentati e precari e con redditi molto bassi». La crisi in Italia, dice lo studioso, «è stata molto più lunga, violenta e grave e ha portato ad una forte disoccupazione e alla perdita di reddito soprattutto per le fasce più basse».
Nel 2013, Giovannini propose il Sia, sostegno d’inclusione attiva, che nel 2017 si è trasformato in Rei, reddito d’inclusione: «Se il Sia fosse stato introdotto subito, oggi avremmo già dei risultati, invece il Rei, con un investimento di risorse così limitato, non può bastare a ridurre il numero dei poveri, può appena attenuare il livello di povertà». E pure sul reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei Cinque Stelle, «dipende molto da quante risorse vengono destinate al sussidio e ai servizi di accompagnamento e comunque sono importanti anche politiche di tipo economico che si occupino delle imprese, perché le politiche assistenziali non sono sufficienti». Secondo Giovannini, «c’è bisogno di politiche fiscali e di innovazione per aiutare le aziende ad aumentare la redditività e quindi a generare redditi più alti: solo così si avrà una reale crescita economica con salari adeguati e occupazioni stabili».
Il Corriere della Sera – 23 aprile 2018