La causa era stata intentata nel 2020 dall’associazione “Aînées pour la protection du climat” (circa 2.500 cittadine svizzere di una età media di 73 anni). La Corte ha stabilito che l’associazione ha avuto il diritto di intraprendere un’azione legale per conto di persone le quali potevano affermare che le loro condizioni di vita e di salute erano minacciate dal cambiamento climatico. I ricorsi individuali sono invece stati dichiarati irricevibili.
«È una sentenza coraggiosa e innovativa», spiega da Milano Costanza Honorati, professoressa di diritto dell’Unione europea all’Università Bicocca. «La Corte ha infatti ritenuto che, date le caratteristiche del cambiamento climatico, è opportuno riconoscere la legittimazione ad agire delle associazioni, poiché in questo particolare contesto la loro azione può costituire l’unico strumento di tutela. A giocare a favore del ricorrente è stata proprio la sua natura di associazione a tutela dell’ambiente».
In buona sostanza, non si è trattato per la Corte europea dei diritti dell’Uomo di valutare danni subiti dal singolo, spesso difficili da imputare direttamente al riscaldamento globale, ma l’interesse di un gruppo di individui dinanzi al mero cambiamento climatico. «Agli occhi del Consiglio d’Europa, il diritto a un ambiente salubre è ormai una precondizione per il godimento degli altri diritti previsti dalla convenzione del 1950», nota ancora la professoressa Honorati.
Nei fatti, sempre secondo la Corte, la Svizzera ha violato specifiche convenzioni internazionali relative alla questione climatica in particolare per non avere messo in pratica piani di riduzione dei gas a effetto serra. Infine, il governo svizzero ha anche violato l’articolo 6 della convenzione del 1950, che prevede il diritto ad un equo processo, per non avere esaminato nel merito i ricorsi presentati a suo tempo dalla stessa associazione di cittadine svizzere.
Durante il dibattimento il rappresentante legale del governo svizzero, Alain Chablais, ha sostenuto che la Svizzera era vittima di un processo alle intenzioni.
Veemente la reazione ieri del più grande partito del Paese, l’Union démocratique du Centre, che a dispetto del nome è di destra radicale: «La sentenza di Strasburgo è inaccettabile. La Svizzera deve ritirarsi dal Consiglio d’Europa», ha scritto l’UDC in un comunicato stampa, parlando di un vero e proprio «scandalo».
Di portata storica, la sentenza potrebbe avere ricadute di lungo termine. «Si tratta del segnale forte di una presa di coscienza – nota Andrea Collart, partner della società di consulenza Forward Global a Bruxelles -. La lotta al cambiamento climatico non è più solo un principio generale, ma diventa un diritto, assai più concreto. Con questa decisione si aprono nuove frontiere giuridiche. Non possiamo escludere una moltiplicazione di ricorsi simili», soprattutto da parte di altre associazioni.
Il Sole 24 Ore