Con i voti di Pdl e Lega la commissione Sanità del Consiglio regionale del Veneto, presieduta da Leonardo Padrin (Pdl), ha licenziato il nuovo piano sociosanitario del Veneto. Contrari i rappresentanti della Sinistra veneta e di Verso Nord, astenuti il Pd, Udc e Idv. Il nuovo piano, che ha validità quinquennale e va ad aggiornare il precedente strumento di programmazione datato 1994, attende ora l’esame dell’aula consiliare per la sua approvazione definitiva. Il via libera definitivo alle linee programmatiche della sanità valide fino al 2016 spetta al consiglio, probabilmente nella seduta successiva a quella dei prossimi 18 e 19 aprile. Quattordici articoli di legge e 108 pagine di documento allegato.
I Dipartimenti di prevenzione rimarranno uno per ogni Usl. Questa alla fine la decisione della commissione sanità nel testo del nuovo piano socio sanitario approvato ieri.
Questo il nuovo piano sociosanitario del Veneto che, a 18 anni dal precedente piano, aggiorna obiettivi, organizzazione e risultati della sanità veneta per il prossimo quinquennio.
L’articolato
Sin dal primo articolo la legge definisce i criteri ottimali per stabilire dimensioni e numero delle aziende sanitarie: le Ulss dovranno avere “un bacino di riferimento compreso tra i 200 e i 300 mila abitanti, fatta salva la specificità del territorio montano e lagunare“. Il che ne dovrebbe eliminare 6 su 21 (prima ipotesi: restano Belluno e Feltre; nel Veronese si scende a due così come nel Vicentino e nel Trevigiano, mentre tre restano nelle province di Padova e Venezia e una in Polesine). Un’operazione di dimagrimento per la quale sarebbe necessaria un’appendice pesante in Consiglio regionale; oltre ad un paio d’anni per la successiva applicazione.
Al timone organizzativo della sanità veneta il piano – in base al nuovo statuto regionale che cancella i segretari regionali – prevede la nuova figura del direttore generale, nominato dal Consiglio regionale, su proposta del presidente della Giunta: una figura tecnica, che può essere scelta anche tra esperti e professionisti esterni all’amministrazione regionale, avere al massimo 65 anni, essere assunta con contratto privato a tempo determinato (e risolto di diritto non oltre sei mesi dopo la fine della legislatura), alla quale compete la realizzazione degli obiettivi di programmazione, indirizzo e controllo e il coordinamento delle strutture e dei soggetti del settore.
L’architettura di governo della sanità prevede inoltre che ogni azienda sanitaria sia guidata da un direttore generale, nominato dal presidente della Giunta con un incarico non più quinquennale ma triennale, non rinnovabile nella stessa Ulss e soggetto a valutazione annuale sulla base del rispetto della programmazione regionale, dei livelli essenziali di assistenza, dei vincoli di bilancio e della qualità ed efficacia dell’organizzazione dei servizi offerti. In caso di mancato rispetto dei vincoli di bilancio e/o delle direttive della programmazione regionale il contratto tra Regione e direttore generale viene risolto e l’Ulss potrà essere commissariata.
Spetta al direttore generale nominare le tre figure apicali della ‘terna’ di comando delle Ulss (direttore sanitario, direttore amministrativo, direttore dei servizi sociali e della funzione territoriale) e nominare i primari motivandone meriti e professionalità. L’incarico, quinquennale, sarà affidato sulla base di un “contratto standard regionale” che dovrà prevedere anche la valutazione dell’operato, in base al numero e alla qualità delle prestazioni erogate, alla valorizzazione dei collaboratori, alla soddisfazione dei pazienti/utenti e al rispetto degli obiettivi di bilancio. Nella ‘terna’ di governo delle aziende sanitarie acquista una nuova rilevanza il direttore sociale, che diventa “direttore dei servizi sociali e della funzione territoriale” e dovrà essere scelto d’intesa con la conferenza dei sindaci proprio per sottolinearne il nuovo ruolo di ‘cerniera’ tra azienda sanitaria e territorio: avrà autonomia di gestione sulle risorse finanziarie e sul personale assegnati alla rete territoriale dei servizi. Dovrà essere un laureato in professioni sanitarie (mediche e non), sociosanitarie e sociali, avere esperienza di direzione almeno quinquennale e potrà rimanere in carica anche per due mandati (massimo 6 anni), purchè non superi i 70 anni di età.
Altra novità è rappresentata dalla riorganizzazione per ambiti territoriali ottimali (interaziendale o addirittura regionale) di alcuni settori strategici per la sanità: i servizi informatici e di acquisto di attrezzature sanitarie ad alta tecnologia (health technology assessment) dovranno essere organizzati su scala regionale, mentre i servizi logistici, i centri di spesa (provveditorati) e la gestione amministrativa del personale dovranno essere organizzati secondo “ambiti” che saranno definiti dalla Giunta regionale, sentita la commissione consiliare Sanità.
Le scelte concrete e operative relative a numero e organizzazione di ospedali, reparti, distretti, reti assistenziali e strutture residenziali e semiresidenziali di ricovero intermedio sono rinviate a successivi provvedimenti attuativi (le cosiddette “schede di dotazione ospedaliera” e “schede di dotazione territoriale”) che la Giunta regionale dovrà sottoporre al parere vincolante e obbligatorio della commissione Sanità del Consiglio e della conferenza regionale permanente per la programmazione sociosanitaria. La commissione consiliare dovrà pronunciarsi entro 90 giorni dal ricevimento delle schede.
Le schede territoriali, che disegneranno la rete dei servizi e delle strutture intermedie e dei centri residenziali, dovranno salvaguardare “la specificità del territorio bellunese, del Polesine, delle aree montane e lagunari e delle aree a bassa densità abitativa, in conformità a quanto previsto dall’articolo 15 dello Statuto regionale”. Il rispetto degli obiettivi di programmazione viene garantito da una puntuale opera di monitoraggio e controllo da parte del Consiglio e della commissione Sanità, ai quali la Giunta e gli assessori competenti dovranno relazionare, rispettivamente ogni anno e ogni sei mesi, sull’attuazione del piano, sull’andamento della spesa e sullo stato di salute della popolazione.
Il piano codifica inoltre l’adozione in tutte le Ulss del “piano di zona”, per programmare e coordinare le politiche sociali e sociosanitarie, e prevede l’obbligo della trasparenza di bilancio per tutte le strutture sanitarie e sociosanitarie, comprese quelle del privato convenzionato, pena la riduzione fino al 20 per cento dei finanziamenti pubblici o addirittura il blocco totale di ogni erogazione nei casi più recidivi.
L’allegato.
Quanto alle risorse necessarie il piano si limita ad impegnare la Regione a garantire nel proprio territorio i livelli essenzionali di assistenza stabiliti dalla normativa nazionale. Stabilisce però alcuni principi cardine nel riparto del fondo annuale: le Ulss saranno finanziate sulla base delle quote capitarie, cioè in base al numero di abitanti, distribuzione per età e prevalenza delle principali patologie croniche nel territorio di riferimento. Con un emendamento è stato infatti stabilito che la quota “pro abitante” che sarà riconosciuta a ciascuna Ulss veneta dovrà essere calcolata «con riferimento ai dati dello scenario epidemiologico»: tradotto, dovranno avere più soldi pro capite le Ulss dove si registra una maggiore presenza di mortalità generale, incidenza di tumori, infarti acuti, malattie cerebrovascolari acute, broncopneumopatie, diabete, malttie allergiche o infettive.
A tale criterio-guida si deroga però per il Polesine, il Bellunese e la città di Venezia. “Per la provincia di Belluno, la città di Venezia, la laguna e il Polesine – recita il piano licenziato dalla commissione – data la specificità della prima e l’unicità della seconda, si prevedono modalità di finanziamento a funzione dedicate, al fine di garantire ai cittadini pari opportunità di accesso ai servizi socio-sanitari”.
Sul fronte della declinazione dei servizi il piano si limita a impostare i criteri-guida che dovranno ispirare le future schede ospedaliere e territoriali. Due le novità principali: l’organizzazione gerarchica e “a rete” dei presidi ospedalieri e lo spostamento del baricentro delle cure dagli ospedali al territorio. Uno spostamento confermato innanzitutto dalla riduzione del tasso di ospedalizzazione previsto (che dovrà essere inferiore allo standard nazionale di 140 ricoveri ogni mille abitanti) e dal diverso parametro posti letto/abitanti che la commissione Sanità ha voluto adottare: a differenza, infatti, della proposta della Giunta – che stabiliva 4 posti letto per mille abitanti per acuti e 0,7 per riabilitazione e lungodegenza – il piano licenziato dalla commissione Sanità abbassa a 3 per mille il numero dei posti letto per acuti, a 0,5 per mille i posti letto per riabilitazione e lungodegenza e individua un parametro di 1,2 posti letto ogni mille abitanti da ricavare in nuove strutture intermedie extraospedaliere, come gli ospedali di comunità, gli hospice, i centri residenziali e semiresidenziali.
La rete ospedaliera esistente viene riprogrammata sulla base del modello “hub & spoke” (perno e raggi di una ruota, ndr) che ha i suoi due fulcri nelle aziende ospedaliere di Padova e di Verona, centri di riferimento regionali per le alte specialità e le alte tecnologie. Ogni rete ospedaliera provinciale sarà articolata in due livelli: un ospedale di riferimento (“hub” provinciale), dotato di specialità di base e di medio livello e tarato per un bacino di circa un milione di abitanti (ma, specifica il piano, “valutando le aree a bassa densità abitativa”), che sarà integrato da presidi ospedalieri di rete, di secondo livello, articolati anche su più sedi, tarati per un bacino di circa 200 mila utenti, e dotati di pronto soccorso e specialità di base come chirurgia generale, medicina interna, oncologia, cardiologia con unità coronarica, ostetricia-ginecologia, pediatria, ortopedia, terapia intensiva, neurologia, urologia, psichiatria, geriatria e servizi di diagnosi e cura. Le specialità di otorinolaringoiatria e di oculistica avranno invece, di norma, una dimensione sovraziendale. Secondo le indicazioni del piano, l’ospedale “Santi Giovanni e Paolo” di Venezia sarà “ospedale di rete” e particolare riconoscimento è garantito a quei “presidi di rete” che sono punti di riferimento anche per pazienti delle regioni confinanti, come ad esempio Feltre.
La rete ospedaliera su due livelli è integrata da strutture “monospecialistiche per acuti”, che potranno essere anche a gestione totalmente privata. Il piano introduce quindi una nuova modalità di gestione delle strutture ospedaliere “integrative” della rete, che si aggiunge a quelle attualmente vigenti della gestione convenzionata e della sperimentazione gestionale pubblico-privata.
Nella riorganizzazione del sistema sanitario di cure l’accento, tuttavia, si sposta dalla rete ospedaliera a quella dei servizi di assistenza territoriale alla quale, secondo il piano, la Regione dovrà destinare il 51 per cento delle risorse, mentre all’assistenza ospedaliera andrà il 44 per cento e alle attività di prevenzione il rimanente 5 per cento. Il perno della rete territoriale saranno i distretti, uno ogni 100 mila abitanti “fatte salve le aree montane e le aree a bassa densità abitativa”, destinati ad essere “porta di accesso ai servizi delle Ulss” e “centri di coordinamento” di tutti i servizi territoriali, dove un ‘case manager’ dovrà prendersi in carico i singoli pazienti coordinare i diversi interventi medici e assistenziali a loro rivolti.
Il modello di assistenza integrata disegnato dal piano 2012-2016 prevede le medicine di gruppo (medici e operatori sanitari con diverse competenze in un team multiprofessionale e multidisciplinare), le cure domiciliari attive 24 ore su 24, i centri polispecialistici territoriali, gli hospice, gli ospedali di comunità, le unità riabilitative territoriali, le unità operative di cure palliative, le unità di radiologia a domicilio.
Il modello a ‘rete’ vale anche per le prestazioni cliniche: il piano enfatizza, infatti, il concetto di “reti cliniche” prevedendo il coordinamento tra reparti, specialisti e centri territoriali in particolari settori, come l’urgenza-emergenza, la rete dei punti nascita con il potenziamento del servizio di trasporto dei neonati in condizioni critiche verso le Neonatologie specializzate delle aziende ospedaliere di Padova e di Verona, le reti delle cure palliative, delle terapie del dolore, per la cura del diabete, dell’Alzheimer, delle malattie rare. Tra le novità previste dal piano in merito alle “reti cliniche” il potenziamento delle unità spinali per le lesioni del midollo.
6 aprile 2012 – riproduzione riservata