La Coalizione #BugieInEtichetta denuncia che l’etichettatura nazionale sul benessere animale rischia di essere fuorviante e ingannevole per i consumatori
L’etichettatura sul benessere animale rischia di essere ingannevole. La Coalizione contro le #BugieInEtichetta, che riunisce 14 associazioni ambientaliste, animaliste e dei consumatori, denuncia che il progetto di etichettatura nazionale sul benessere animale “tradisce una reale transizione ecologica e attenta al benessere animale e promuove invece etichette fuorvianti” per i consumatori.
La proposta del Governo, discussa in un incontro che c’è stato il 15 marzo fra Ministero della Salute, Ministero della Politiche agricole e Accredia, «è un vero e proprio inganno per i cittadini, destinati a venire manipolati da un’etichetta che, beneficiando dei fondi pubblici PAC e PNRR, verrebbe apposta su prodotti ottenuti con condizioni che migliorerebbero poco o niente il benessere animale, a scapito di onestà e trasparenza».
Benessere animale, etichetta poco trasparente
«I Ministeri della Salute e delle Politiche Agricole hanno deciso di accelerare con l’istituzione di una certificazione nazionale volontaria sul benessere animale che tradisce qualunque ispirazione di trasparenza e verità nei confronti dei consumatori e che promuove un inganno che andrà a discapito di animali, cittadini, aziende virtuose, e ambiente», denuncia la coalizione.
Il Ministero della Salute e delle Politiche agricole, raccontano le associazioni, stanno per approvare un decreto che istituisce l’etichetta “Sistema di Qualità Nazionale Benessere Animale” (SQNBA).
Questa viene considerata «fuorviante, incapace, visto l’assenza di livelli di qualità crescenti, di favorire una reale transizione verso sistemi di produzione che si allontanino dalle condizioni tipiche degli allevamenti intensivi che, come stiamo purtroppo constatando proprio in questo momento, sono fortemente dipendenti da massicce importazioni di materie prime soggette a forti oscillazioni dei prezzi e speculazione, livellando al ribasso tutta la filiera italiana della produzione alimentare e dimenticandosi di tutti gli impegni presi per una transizione adeguata a forme che garantiscano livelli maggiori di benessere animale».
Insomma un’etichetta poco trasparente, che lascia il made in Italy sulla strada dei vecchi modelli di produzione e allevamento, svaluta gli impegni di chi sta lavorando davvero su politiche di benessere animale e alla fine non è chiara e trasparente per i consumatori, dice la Coalizione.
La certificazione sul benessere animale SQNBA
Da molti mesi, dicono le associazioni, era stata messa in luce le necessità di una profonda revisione della proposta del SQNBA, portato avanti dai Ministeri delle Politiche Agricole e della Salute insieme con Accredia, e istituito nel luglio 2020 con l’articolo 224 bis nel Decreto Rilancio, inviando più volte proposte.
L’articolo 224 bis prevede che «Al fine di assicurare un livello crescente di qualità alimentare e di sostenibilità economica, sociale e ambientale dei processi produttivi nel settore zootecnico, migliorare le condizioni di benessere e di salute degli animali e ridurre le emissioni nell’ambiente, è istituito il «Sistema di qualità nazionale per il benessere animale», costituito dall’insieme dei requisiti di salute e di benessere animale superiori a quelli delle pertinenti norme europee e nazionali, in conformità a regole tecniche relative all’intero sistema di gestione del processo di allevamento degli animali destinati alla produzione alimentare, compresa la gestione delle emissioni nell’ambiente, distinte per specie, orientamento produttivo e metodo di allevamento». L’adesione è volontaria.
#BugieInEtichetta: servono modifiche
Sono rimaste inascoltate le voci di chi ha proposto miglioramenti, dicono le associazioni. Che hanno presento una serie di richieste precise: l’introduzione di almeno cinque livelli diversificati per ogni specie chiaramente visibili in etichetta, come ad esempio avviene per le uova; la cancellazione dei riferimenti alla diminuzione delle emissioni di gas serra nella definizione di benessere animale, considerata importante ma scollegata dalla certificazione; la considerazione dei bisogni etologici di specie, della densità di animali e delle condizioni di trasporto tra i criteri atti a determinare il benessere animale.
«Senza queste modifiche etichettare con il claim “benessere animale” i prodotti sarà un mero atto di inganno nei confronti dei consumatori, degli allevatori che già hanno avviato una transizione e dei veterinari che vedranno mortificata ogni loro reale competenza per accrescere il benessere degli animali», dice la Coalizione.