La Cassa può valutare in maniera autonoma rispetto all’Ordine che la professione sia stata svolta legittimamente. E può farlo senza attivare le garanzie difensive previste per i procedimenti davanti al Consiglio dell’Ordine, in virtù del diverso effetto a cui è finalizzata la verifica: in un caso erogare o meno le prestazioni, nell’altro procedere alla cancellazione dall’albo. La sezione Lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza 24140 depositata ieri, fa la sua scelta tra orientamenti contrastanti favorevoli o contrari alla libertà della Cassa.
Il potere di controllare che gli iscritti non abbiano esercitato in condizioni di incompatibilità deriverebbe direttamente dall’articolo 20 della legge 21/86 che consente alla Cassa di esigere che il professionista compili entro 90 giorni, pena la sospensione del trattamento pensionistico, un questionario indicando gli elementi che riguardano la regolarità dell’iscrizione e della contribuzione. Per i giudici sarebbe paradossale se il potere della Cassa si limitasse al controllo dell’iscrizione a un albo, pubblico e da chiunque consultabile, escludendo proprio la possibilità di appurare l’elemento di maggiore importanza, vale a dire che l’interessato abbia mantenuto l’iscrizione alla Cassa legittimamente.
Inoltre, attribuire l’esclusiva al Consiglio dell’Ordine vorrebbe dire far venir meno qualunque forma di controllo nel caso in cui l’iscrizione all’albo sia cessata perché l’interessato ha chiesto la pensione di anzianità. La Cassa ha dunque il potere di annullare i periodi contributivi durante i quali l’attività è stata svolta in una situazione di incompatibilità, anche se tale condizione non è stata accertata e sanzionata dal Consiglio dell’Ordine competente. I controlli possono essere reiterati nel tempo in base a criteri stabiliti dal comitato dei delegati. La soluzione adottata – sottolinea la Cassazione – è in linea con l’articolo 38 secondo comma della Carta che garantisce ai cittadini l’assistenza sociale, una tutela che non può essere estesa, come sottolineato dalla Corte costituzionale (sentenza 420 del 1988) alle attività «svolte in violazione delle norme poste a tutela dell’interesse generale alla continuità ed obiettività della professione».
In quell’occasione la Consulta considerò non fondati i dubbi di costituzionalità dell’articolo 2, comma 3, della legge 319/75 (previdenza forense) per la parte in cui esclude il trattamento pensionistico per chi, nello stesso periodo di esercizio della professione di avvocato, si sia trovato in una situazione di incompatibilità, anche se non accertata e non perseguita. La possibilità che Cassa e Ordine, nella loro concorrente possibilità di valutare una stessa situazione giuridica, giungano a esiti contraddittori fa parte del sistema. La stessa cosa avviene – chiarisce la Corte – per gli avvocati e i geometri le cui Casse hanno mani libere negli accertamenti.
Il Sole 24 Ore – 13 novembre 2014