La prenotazione si fa su internet. L’atmosfera è informale e i piatti sono quelli di tutti i giorni, quelli che non trovi più nemmeno in trattoria. Gli home restaurant rappresentano l’ultima frontiera della sharing economy , quel filone che va da Uber ad Airbnb, dove i cittadini semplici fanno tutto quello che prima era riservato agli addetti ai lavori, dai tassisti agli albergatori. Adesso chi vuole apre le porte di casa sua per una cena a pagamento: non ci sono regole. Ma potrebbero arrivare. Ieri l’Aula della Camera ha cominciato a discutere un disegno di legge che mette insieme le proposte di diversi parlamentari e ha già superato l’esame della commissione Attività produttive. Dalla deregulation di fatto si passerebbe a una serie di paletti ben precisi. Quali? L’attività di home restaurant è da considerare «saltuaria». Per questo «non può superare il limite di 500 coperti l’anno» né «generare proventi superiori a 5 mila euro annui».
Per pagare il conto bisogna usare «sistemi elettronici», cioè carte di credito o bancomat e passare dal sito internet che gestisce le prenotazioni. Tutto tracciabile e niente contanti. C’è poi il divieto di incrocio con Airbnb: l’attività di ristorazione a casa «non può essere esercitata nelle unità immobiliari a uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale». Non solo. Chi non presenta la Scia, la segnalazione certificata di inizio attività, rischia multe da 2.500 a 15 mila euro.
Regole sensate oppure no? Il fenomeno è in crescita: in Italia nel 2014, secondo una ricerca del Centro studi turistici, sono state 300 mila le persone che hanno mangiato in questo tipo di «ristoranti». E quelli tradizionali gridano alla concorrenza sleale. Giambattista Scivoletto, fondatore di HomeRestaurant.com , piattaforma internazionale in rampa di lancio, ribatte parlando di «sgradevole tentativo di opprimere la libera iniziativa».
Una guerra di posizione che preannuncia toni non proprio distesi. Come dimostra anche una clausola aggiunta in corsa, a prima vista inutile. Dice l’articolo 4 del disegno di legge che le nuove regole «non si applicano alle attività non rivolte al pubblico o svolte da persone unite da vincoli di parentela o di amicizia». Pranzo di Natale e cenetta con gli amici sono salvi. E ci mancherebbe.
Contenuto del provvedimento (scheda della Camera dei deputati)
Il testo unificato delle proposte di legge di iniziativa parlamentare A.C.3258, A.C. 3337, A.C. 3725 e A.C. 3807 consta di 7 articoli ed è volto ad introdurre nell’ordinamento giuridico italiano, che ne è privo, una disciplina specifica per l’attività di ristorazione in abitazione privata (home restaurant), al fine di valorizzare e favorire la cultura del cibo tradizionale e di qualità.
Si ricorda, al riguardo, la recente Comunicazione della Commissione europea «Un’agenda europea per l’economia collaborativa» (COM(2016) 356 final), che attribuisce grande rilievo alla sharing economy ed invita gli Stati membri a favorirne lo sviluppo, quale contributo importante alla crescita e all’occupazione nell’Unione europea, anche al fine di garantire il pieno rispetto del principio di concorrenza.
L’attività di home restaurant è definita nel provvedimento come “l’attività finalizzata alla condivisione di eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche all’interno delle unità immobiliari ad uso abitativo di residenza o domicilio, proprie o di un soggetto terzo, per il tramite di piattaforme digitali che mettono in contatto gli utenti, anche a titolo gratuito e dove i pasti sono preparati all’interno delle strutture medesime” (art.2). Accanto alla definizione di home restaurant, sono inoltre recate le definizioni di “soggetto gestore”, “utente operatore cuoco” e “utente fruitore”.
Sono individuate, inoltre, le prescrizioni in capo al soggetto gestore della piattaforma digitale di home restaurant (art. 3). In particolare, il soggetto gestore deve garantire che le informazioni relative alle attività degli utenti, iscritti alle piattaforme medesime, siano tracciate e conservate, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy ed è inoltre tenuto a mettere le informazioni relative alle attività degli utenti, iscritti alle piattaforme medesime, nella disponibilità degli enti di controllo competente.
Le transazioni di denaro sono operate mediante le piattaforme digitali, che prevedono modalità di registrazione univoche dell’identità, e avvengono esclusivamente attraverso sistemi di pagamento elettronico. La partecipazione dell’utente fruitore all’evento enogastronomico richiede in ogni caso l’assenso da parte dell’utente operatore cuoco.
Il soggetto gestore della piattaforma digitale di home restaurant, inoltre, deve effettuare un duplice ordine di verifiche: in primo luogo, che gli utenti operatori cuochi siano coperti da polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall’attività di home restaurant e che l’unità immobiliare ad uso abitativo sia coperta da apposita polizza che assicuri per la responsabilità civile verso terzi; in secondo luogo,che gli utenti operatori cuochi siano in possesso dei requisiti di cui alla legge per lo svolgimento dell’attività di home restaurant, ai fini dell’iscrizione alla piattaforma digitale. Il soggetto gestore fornisce altresì all’utente fruitore, nel rispetto del principio di trasparenza, le corrette informazioni relative al servizio offerto e alle polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall’attività di home restaurant, esplicitando che si tratta di un’attività non professionale di ristorazione.
Le attività di home restaurant devono essere inoltre inserite nella piattaforma almeno trenta minuti prima del loro svolgimento e l’eventuale cancellazione del servizio prima della sua fruizione deve rimanere tracciata. Entro 90 giorni dalla data dell’approvazione della legge, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, saranno determinate le modalità per garantire il controllo delle attività svolte per il tramite delle piattaforme digitali di home restaurant.
Sono escluse dall’applicazione della nuova disciplina le attività svolte in ambito privato o comunque da persone unite da vincoli di parentela o di amicizia, che sono definite libere e non soggette a procedura amministrativa.
L’attività di home restaurant è considerata saltuaria e come tale non può superare il limite massimo di 500 coperti per anno solare, né generare proventi superiori a 5.000 euro annui.
Per lo svolgimento dell’attività di home restaurant sono richiesti specifici requisiti, quali:
l’utilizzo della propria organizzazione familiare e di parte di un’unità immobiliare ad uso abitativo, dotata dei requisiti prescritti all’articolo 5 del progetto di legge, nonché il possesso, da parte degli utenti operatori cuochi, dei requisiti di onorabilità di cui al D. Lgs. 59/2010, art. 71, commi 1 e 2;
il rispetto delle procedure previste dall’attestato dell’analisi dei rischi e controllo di punti critici (HACCP), ai sensi del regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull’igiene dei prodotti alimentari (art. 4).
Sono inoltre definiti i requisiti degli immobili ad uso abitativo destinati all’attività di home restaurant. In particolare, si prevede che tali immobili devono possedere le caratteristiche di abitabilità e di igiene previste dalla normativa vigente e che l’attività esercitata non comporta la modifica della destinazione d’uso dell’immobile.
L’attività di home restaurant non può essere esercitata nelle unità immobiliari ad uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni (art. 5).
In caso di esercizio dell’attività di home restaurant in assenza di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), si prevede la cessazione dell’attività medesima e l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dalla normativa sull’insediamento e sull’attività dei pubblici esercizi (legge n. 287 del 1991) (art. 6). 1. A chiunque eserciti l’attivita’ di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza l’autorizzazione, ovvero senza la ((segnalazione certificata di inizio di attivita’)), ovvero quando sia stato emesso un provvedimento di inibizione o di divieto di prosecuzione dell’attivita’ ed il titolare non vi abbia ottemperato, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.500 euro a 15.000 euro e la chiusura dell’esercizio.
Si segnala che la Commissione Bilancio in sede consultiva ha chiesto al Governo la predisposizione della Relazione tecnica al provvedimento in esame
Fonti: Il Corriere della Sera e Camera dei deputati– 9 novembre 2016