La Stampa. Il Tar del Lazio ha annullato la circolare del ministero della salute, aggiornata al 26 aprile 2021, che delineava la cura domiciliare del coronavirus. Tradotto in altri termini significa che ha accolto il ricorso del Comitato Cura Domiciliare Covid-19 che riteneva inadeguata «la vigilante attesa e l’uso esclusivo del paracetamolo escludendo altre cure nei primi giorni dell’insorgere della malattia».
Per la sentenza del Tar è infatti «onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito».
Una sentenza che fa discutere, perché non mancano le critiche da parte di chi ritiene che si tratti di un provvedimento di fatto già superato. A partire dall’assessore regionale del Lazio alla Sanità Alessio D’Amato: «Con l’ampia diffusione del vaccino il pronunciamento del Tar ha un effetto nullo: con la maggior parte della gente immunizzata il contagio provoca conseguenze assai meno gravi rispetto al passato. La maggior parte dei malati sono addirittura asintomatici e quindi non richiedono pesanti cure farmaceutiche. E inoltre, con la diffusione delle cure monoclonali e antivirali il discorso della vigilante attesa era comunque già venuto meno».
Di sentenza scavalcata dalla nuova fase del Covid parla anche Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici. «Il responso del Tar non cambia di fatto nulla – osserva-. Innanzitutto perché il protocollo del ministero della Salute è ampiamente superato in quanto all’epoca in cui venne emanato si sostenevano la vigilante attesa e l’uso del paracetamolo perché non c’erano cure specifiche come quelle attuali dei monoclonali e degli antivirali». Anelli sostiene, inoltre, che «la sentenza non stabilisce che i medici possono prescrivere tutto ciò che vogliono, ma devono attenersi alle condizioni individuali del paziente per capire ciò di cui ha bisogno. Per capirci, è considerata inopportuna la somministrazione dell’idrossiclorochina e dell’azitromicina, ritenuti ininfluenti per la cura del Covid ma che invece sono andati a ruba, e spesso si stenta a trovarli per darli a chi soffre di altre patologie». Secondo il dottor Anelli «contro il Covid non esistono cure specifiche, dipende dai sintomi del paziente, e in fondo anche con il vecchio protocollo, prima della sentenza del Tar, il medico era tenuto a intervenire in base ai limiti prescrittivi e deontologici».
Anche per Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg in sigla) la sentenza del Tar «non aggiunge nulla di nuovo. Il ricorso sarebbe anche potuto non essere presentato perché i medici agiscono sempre assumendosi le responsabilità e in modo specifico in base ai sintomi del paziente. Non esiste una cura standard al Covid, ma terapie individuali. Infine non va dimenticato che la circolare del ministero della Salute era basata su delle raccomandazioni e non su linee guida che devono passare attraverso l’autorizzazione dell’Istituto Superiore della Sanità».
Su quest’ultimo aspetto insiste anche il vicesegretario nazionale Fimmg, Pier Luigi Bartoletti: «A parte che quelle del protocollo ministeriale non erano linee guida, ma solo delle indicazioni, non credo proprio che alcun medico si sia attenute ad esse. Perché la personalizzazione delle cure è il principio fondamentale dell’approccio medico. Va ribadito che contro il Covid non c’è un rimedio universale. Senza tralasciare, poi, il fatto che in questi due anni il contagio da coronavirus si è modificato due-tre volte, come probabilmente avverrà in futuro e quindi non si possono stabilire terapie assolute. Attualmente, inoltre, difficilmente possono curarsi a casa coloro che non sono vaccinati perché i loro sintomi richiedono per la maggior parte dei casi assistenza in ospedale. Come succede anche ai malati più fragili che necessitano di monoclonali e antivirali».—
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