di Stefano Simonetti. Il Sole 24 Ore sanità. Il 14 luglio scorso è entrato in vigore il Dpr 16 giugno 2023, n. 82: questo lungo decreto interviene sulla normativa concorsuale generale e, su precisa delega da parte dell’art. 3, comma 6, della legge 79/2022, effettua una profonda revisione del pregresso Dpr 487 del 1994. Da sempre sono presenti molti dubbi sull’applicabilità alla Sanità delle modifiche via via introdotte alla normativa concorsuale generale, in particolare quelle adottate durante lo stato di emergenza, perché per le aziende sanitarie vige un regime di specialità costituito dai Dpr 483/1997 (per la dirigenza) e 220/2001 (per il comparto).
L’esclusione è ora sancita ufficialmente e in modo esplicito dall’art. 1, comma 6 di questo Dpr 82/2023, dove chiaramente si afferma che “Le disposizioni del presente regolamento non si applicano al reclutamento del personale del Servizio sanitario nazionale”. Appurato questo punto fondamentale, resta in piedi un dato sconcertante: nella Sanità pubblica, da una parte i concorsi vanno deserti o non forniscono vincitori sufficienti e, dall’altra, si continua imperterriti a espletare le procedure di reclutamento seguendo le regole di due decreti vecchi e superati (quello per la dirigenza è di 26 anni fa e quello per il comparto di 22) che erano obsoleti già quando entrarono in vigore e oggi appaiono del tutto incapaci di rispondere alle esigenze della Sanità pubblica. E allora chi deve mettere mano nel caos della normativa concorsuale della Sanità, il Ministero della Salute? le Regioni? le singole aziende sanitarie ? la Magistratura mediante il cosiddetto diritto vivente?
Nel merito, le aziende sanitarie non hanno nulla a che fare con il Portale del reclutamento, con la Ripam, con l’albo dei commissari, non possono optare per una sola prova, non sono esentate dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il regime di specialità deve essere naturalmente conforme ai principi generali sanciti dall’art. 35 del decreto 165 del 2001. Ma come orientarsi nell’interpretare la lunga norma citata? Riguardo alle disposizioni dell’art.35, quelle di valenza generale dovrebbero riguardare tutti (in pratica fino all’art. 3-bis) mentre quelle che ineriscono a situazioni di dettaglio (ad esempio, la permanenza di cinque anni nella stessa sede o il limite di idonei nelle graduatorie) valgono solo per le amministrazioni centrali e locali. Il canone interpretativo per leggere questo articolo potrebbe essere quello che da decenni ha definito la Corte costituzionale: se la materia rientra nell’ordinamento civile (art. 117, comma 2, lettera l) sicuramente l’applicazione ricomprende la Sanità mentre, se le norme afferiscono all’organizzazione (esonero dalla preselezione per il personale precario, compensi per le commissioni, numero di idonei e, mio parere, la stessa durata delle graduatorie), allora la competenza è delle Regioni alla luce del medesimo art. 117.
Fatta questa lunga ma indispensabile premessa, si deve constatare e prendere atto con preoccupazione che attualmente i concorsi pubblici gestiti dalle aziende ed enti del S.s.n sono in pieno caos, con una disciplina normativa superata e mancanza di indirizzi e riferimenti certi. Di sicuro non tutti i concorsi versano in tale stato di incertezza ma, tra quelli che vanno deserti e quelli che sono impugnati al Tar, la percentuale di procedure che iniziano e terminano regolarmente e con esito positivo non è davvero alta. Sulle quattro Gazzette ufficiali – 4^ serie speciale del mese di luglio (vengono pubblicate il martedì e il venerdì) nella sezione “AZIENDE SANITARIE LOCALI ED ALTRE ISTITUZIONI SANITARIE” risultano pubblicati 187 concorsi, comprese le selezioni per le strutture complesse e al netto delle rettifiche, annullamenti e diari delle prove. Tutti saranno espletati con regole di almeno venti anni fa e nulla delle innovazioni recenti li riguarda. Molti sono scritti bene e lineari e andranno sicuramente a buon fine ma alcuni contengono errori banali, refusi, riferimenti sbagliati e manipolazioni della normativa per adattarla alle esigenze aziendali. Un evidente segnale delle difficoltà di gestire un concorso – in disparte da quelli per infermiere e Oss che sono un caso a parte – è quella di una Asl di Roma che bandì nel gennaio 2020 un concorso per 406 posti di assistente amministrativo e ha pubblicato in questi giorni il calendario della prova orale che terminerà il prossimo 20 luglio. Ma ho rilevato proprio negli ultimi giorni alcuni casi del tutto singolari che spaziano dalle criticità di una normativa obsoleta alle difficoltà applicative di recenti disposizioni legislative e contrattuali; proviamo a fare un focus su alcune di queste situazioni che spiccano per particolari o congiunturali aspetti.
Concorso per infermieri in Toscana
Estar Toscana ha bandito il 5 aprile scorso un concorso per infermiere per tutte le aziende sanitarie toscane. Il bando è per un solo posto, vecchio e ingenuo stratagemma per indurre meno domande quando è assolutamente certo lo scorrimento della graduatoria per centinaia di idonei. Le domande presentate sono state circa 4.700 e alla prova scritta di fine giugno si sono presentati 3.879 concorrenti, dei quali 2.393 non hanno superato le prime due prove, per cui gli ammessi all’orale sono stati 1.486. A prescindere dalle condizioni ambientali e logistiche molto “complicate” – che certamente non sono addebitabili ad Estar e alla commissione – quello che ha scatenato polemiche e ricorsi annunciati è stato il contenuto delle due prove che si sono svolte mediante quiz a scelta multipla. Ciascun candidato ha svolto consecutivamente la prova scritta (35 minuti per 30 risposte) e la prova pratica (15 minuti per 12 risposte) in modalità informatizzata con l’ausilio di un tablet, una modalità diventata prassi per i “maxi concorsi” di Estar, al fine di ottimizzare i tempi di svolgimento delle prove: qualcuno ricorderà il concorso del 2016 con 16.000 domande pervenute. L’aspetto di maggiore criticità è stato quello della asserita ambiguità o inattendibilità di alcune domande e della ambivalenza delle relative risposte. In tal senso, la stampa ha indugiato ironicamente sulla domanda relativa alla “scarsa percezione del dolore da parte di un paziente giapponese”. Le proteste non sono venute soltanto da chi non ha superato le prove, ma sono state sollevate dall’Ordine provinciale degli infermieri di Firenze e questa iniziativa appare francamente inconcepibile. Ora, se non si comprende che il metodo utilizzato sia l’unico possibile con quel numero di candidati, si alza soltanto un facile e inutile polverone e la demagogia non serve a superare l’assurdità della normativa vigente. Ma si devono fare due osservazioni sul piano strettamente giuridico. La prima è che la norma che disciplina i concorsi per infermiere (art. 37, comma 2, del Dpr 220/2001) prevede che “la prova scritta possa consistere anche nella soluzione di quesiti a risposta sintetica, che la prova pratica consista nell’esecuzione di tecniche specifiche o nella predisposizione di atti connessi alla qualificazione professionale richiesta”. Nel bando si precisava che per ambedue le prove, scritta e pratica, “potrà consistere anche nella soluzione di quesiti a risposta sintetica e multipla”: una eventuale forzatura potrebbe essere solo aver inteso che nel concetto di risposta sintetica rientri quello della risposta multipla.
La seconda osservazione è che, da come è stata riportata la notizia da alcuni giornali, si poteva pensare che i quesiti non fossero stati redatti dalla Commissione ma da una azienda emiliana cui Estar si è rivolto anche in passato. In realtà, la ditta in questione ha fornito unicamente il supporto informatico compresi i tablet, mentre il contenuto tecnico dei quesiti è stato elaborato dalla Commissione sulla scorta di letteratura standard ufficialmente riconosciuta e recepita sul sito aziendale. È stato pertanto pienamente rispettato l’art. 12, comma 1, del decreto 220 dove chiaramente si precisa che “il giorno stesso ed immediatamente prima della prova scritta, la commissione al completo predispone una terna di temi o di questionari a risposte sintetiche”.
Nondimeno esistono precedenti che avrebbero dovuto suggerire prudenza. La sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, n. 10848 del 12 dicembre 2022 ha confermato la sentenza del Tar Toscana, sez. I, 10 marzo 2022, n. 316 che aveva accolto il ricorso di una candidata non ammessa alla prova orale – e quindi esclusa dal concorso – per non aver superato la prova pratica consistente, appunto, nella soluzione di multiple choise test in un concorso bandito dal medesimo Estar. La giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che in sede di pubblico concorso, laddove la prova scritta sia articolata su risposte multiple, contenenti soluzioni simili, da fornire ad altrettanti quesiti somministrati ai candidati, la formulazione del quesito deve contemplare la presenza di una sola risposta “oggettivamente” esatta, rimanendo preclusa ogni possibilità di interpretazione soggettiva da parte della Commissione (e, quindi, ogni valutazione discrezionale, sia pure predeterminata con l’ausilio di un testo di riferimento), dovendosi ritenere legittima la prova condotta alla stregua di un quiz a risposta multipla che conduca ad una risposta univoca, ovvero, che contempli, tra le risposte da scegliere, quella indubitabilmente esatta. In quel caso, si chiedeva di “mettere in ordine la procedura di esecuzione di prelievo capillare” e la risposta considerata dalla Commissione come esatta, pur non essendo in sé errata, nemmeno poteva ritenersi come la sola “indubitabilmente corretta” alla luce delle risultanze scientifiche e delle indicazioni operative promananti da organismi accreditati nel settore della salute. E tutto ciò, secondo i Giudici amministrativi, genera una situazione di ambiguità che vizia il quesito.Tornando al concorso in atto, la metodologia di svolgimento della prova scritta e della prova pratica é identica, in quanto entrambe consistevano nella soluzione di quesiti a risposta sintetica o multipla. La differenziazione era unicamente sulla natura delle domande: più teorica per la prova scritta (“argomenti inerenti i contenuti e i metodi scientifici delle professioni infermieristiche in tutte le aree di possibile intervento”) e più pratica per la prova, appunto, pratica (“verifica della padronanza nella descrizione/applicazione di procedure tecnico assistenziali diagnostiche terapeutiche di competenza”). Le prove orali del concorso di cui si parla sono proseguite fino al 6 luglio scorso, data dell’ultimo aggiornamento del sito. La incontestabile realtà dei fatti è che in quattro mesi Estar ha portato a compimento un concorso che in altre Regioni o circostanze richiede anni. Le scelte relative alle prove in un solo giorno e alla accelerazione procedurale consentiranno la rapida chiamata in servizio a tempo determinato di centinaia di infermieri che copriranno il turn over e le assenze per ferie.
È di tutta evidenza che con migliaia di domande i concorsi non si possono che espletare con prove a lettura ottica: ciò è verissimo, ma è proprio quello che ripeto da anni e cioè che la normativa concorsuale per la sanità pubblica deve assolutamente essere aggiornata perché con norme di venti e più anni fa l’esito positivo di un concorso è ormai divenuto una rarità. In particolare per gli infermieri, cosa si aspetta a ricorrere a contratti di formazione e lavoro che, oltre alla celerità e alle certezze procedurali, avrebbero tra l’altro il pregio di fidelizzare chi si è laureato in un certo ambito universitario, senza contare che la preparazione e le capacità professionali sarebbero senz’altro più garantite rispetto all’alea dei quiz.
Concorso per l’Area della Elevata qualificazione
La ASU Friuli Centrale, con decreto n. 792 dell’11.7.2023, ha deliberato il bando di concorso per 7 posti di infermiere per l’area del personale di elevata qualificazione. Il bando – credo il primo in assoluto in Italia – tra i requisiti specifici di ammissione prescrive, rispettivamente ai punti d) ed f), la laurea specialistica o magistrale e una esperienza professionale di almeno tre anni con incarichi di funzione di media o elevata complessità. Questi requisiti sono esattamente quelli previsti nell’Allegato A al Ccnl del 2.11.2022 per la progressione di carriera verso la nuova area della elevata qualificazione. Il bando non risulta ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. La questione è estremamente complessa e merita un passo indietro.
L’art. 16 del Ccnl del 2 novembre 2022 tratta della “Area del personale di elevata qualificazione”, realizzando il dettato della legge 113/2021 ma ha natura programmatica perché non dispone, per ora, alcun intervento immediato di reinquadramento, come si evince bene dalla Tabella F, allegata al contratto. Va, infatti, detto subito che la quinta Area nasce vuota al momento dell’entrata in vigore del Ccnl e dovrà riempirsi attraverso le procedure previste nel comma 1. L’Area in questione riguarda tutti i ruoli e nell’Allegato A vengono indicati i requisiti di accesso ma per quello dall’esterno si dovrebbero utilizzare le norme del DPR 220/2001 che, naturalmente, non è adeguato alla nuova classificazione. Si ricorda, inoltre, che il reclutamento è una delle sette materie riserva di legge che, fin dal 1992, sono escluse dalla contrattazione (art. 2, comma 1, lettera c, punto 4, della legge 421/1992). L’art. 16 citato prevede che l’accesso alla nuova Area avviene, in relazione al piano triennale dei fabbisogni (che attualmente è una sezione del Piao), dall’esterno o attraverso una progressione tra le aree ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001, nel rispetto dei requisiti di accesso specifici riportati nell’Allegato A. Tali requisiti rientrano certamente nel perimetro di competenza del Ccnl ma dubito che possano essere i medesimi che devono essere previsti in un bando di concorso pubblico per la parte riservata all’accesso dall’esterno. La legge citata, all’art. 3, prescrive che “fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree, ecc.”, per cui è indiscutibile che le due modalità di accesso siano parallele e, direi, contestuali. Allo stato, nessuna azienda è in grado di bandire un concorso pubblico per infermiere, tecnico sanitario, collaboratore amministrativo “di elevata qualificazione” perché non saprebbe quali requisiti specifici indicare nel bando: se ricorre a quelli dell’Allegato A, compie una ovvia forzatura e se si affida al DPR 220/2001 non trova di sicuro la disciplina per i profili in questione. La situazione della Sanità è, in tal senso, completamente diversa da quella delle Amministrazioni centrali e delle Autonomia locali perché in tutto il resto del pubblico impiego sono i regolamenti concorsuali di ciascuna amministrazione a definire requisiti, criteri, prove d’esame e quant’altro si riferisce alla procedura concorsuale. Per cui un Ministero o un Comune basta che adattino il proprio Regolamento per poter procedere con il concorso. Ma la Sanità deve obbligatoriamente seguire la normativa nazionale del più volte citato DPR 220/2001 e la singola azienda sanitaria non gode di alcuna autonomia regolamentare. Quanto rappresentato potrebbe costituire un serio e grave impedimento alla realizzazione del dettato legislativo relativo all’Area della EQ. Ma l’azienda friulana non si è posta questi problemi e ha bandito il concorso. I requisiti, come detto, sono esattamente quelli previsti nell’Allegato A del CCNL ma è addirittura bizzarro che nel bando il contratto collettivo non venga nemmeno citato tra le fonti regolatrici del concorso. I requisiti sono, pertanto, inventati e il bando ha utilizzato in modo leggermente spregiudicato la sua funzione di lex specialis del concorso, così come per la composizione della commissione. Una ulteriore questione davvero singolare è la circostanza che il 14 luglio la medesima ASU ha bandito un avviso per un posto a TD di dirigente infermieristico indicando nel paragrafo dell’eventuale colloquio 4 items di riferimento per tematiche manageriali e organizzative che sono assolutamente identici a quelli declinati per i contenuti delle prove concorsuali: come a dire che le funzioni e le competenze della dirigenza infermieristica e della EQ sono intercambiabili o, peggio, del tutto uguali. Un aspetto, infine, molto inquietante – che tuttavia non riguarda la ASU ma è di carattere generale – è che, se confrontiamo i requisiti prescritti dal DPCM del 2008 con quelli indicati nel CCNL del 2022 riscontriamo una assurda maggiore severità del recente contratto, visto che per diventare “dirigente” delle professioni sono necessari 5 anni di anzianità in categoria D mentre per accedere alla EQ servono, secondo il contratto, 3 anni ma con titolarità di un incaico di funzione. Anche in questa vicenda, come nel caso precedente, sarà opportuno che il legislatore intervenga in fretta e in modo inequivocabile.
Concorsi ARPA per Collaboratori tecnici professionali biologi
Questo caso è veramente specifico perché, oltre a riguardare inizialmente le sole Agenzie per l’ambiente, ha come contenuto la classificazione del personale piuttosto che le procedure concorsuali che sono state trattate dai giudici amministrativi in via derivata. Sono molto recenti due sentenze intervenute per l’ennesima volta in merito alla figura del biologo. L Giudici amministrativi hanno sospeso cautelarmente i bandi di concorso per il profilo professionale di collaboratore tecnico professionale – biologo nel comparto, in quanto risulta non compatibile con l’ordinamento vigente, come è ormai stato sancito da una univoca e costante giurisprudenza. Le pronunce in parola sono: TAR Friuli-Venezia Giulia, sezione I, ordinanza n. 56 del 29.6.2023e TAR Campania, Salerno, sezione III, ordinanze nn. 754, 755 e 756 del 25 maggio 2023.
Nelle Agenzie per la protezione dell’ambiente, ormai dal 2018, esiste un contenzioso fra tutti i lavoratori inquadrati come Collaboratori tecnici professionali, in particolare i laureati chimici, fisici e biologi che sono, per la legge 3/2018, cosiddetta “Lorenzin”, professioni sanitarie e non tecniche. Sulla base di numerosa giurisprudenza, ma soprattutto delle sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5167 del 7 luglio 2021 e n. 5195 dell’8 luglio 2021, il giudice amministrativo ha ribadito più volte che l’inquadramento contrattuale dei CTP sanitari nelle ARPA è illegittimo. In seguitosono anche intervenute l’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 126 del 16.1.2023 e il parere del medesimo Organo, sez. I, del 17 giugno 2019 n. 1735. La problematica riguarda più di mille dipendenti per i quali, allo stato, non esiste soluzione. La novità è, tuttavia, che la giurisprudenza consolidata si era sempre espressa nei confronti di concorsi banditi dalle ARPA mentre in questi ultimi casi si tratta dell’ASU Giuliano Isontina e della ASLdi Salerno le quali, evidentemente si sono volute far del male non tenendo conto delle decisioni del Consiglio di Stato.
La ipotizzata deregulation dei concorsi in Puglia
Nei giorni scorsi la stampa ha data rilievo alle dichiarazioni del Presidente della Regione Puglia Emiliano che ha lanciato in via provocatoria una proposta per sopperire al bisogno di medici. In particolare, ha affermato che “cambieremo anche il sistema di reclutamento dei medici e del personale sanitario: i medici sono pochi e sono contesi e per loro vareremo un sistema a sportello, con il quale qualunque medico italiano o europeo che volesse venire a lavorare in Puglia presenterà la sua domanda che verrà valutata immediatamente e si cercherà, dove ci siano vuoti di organico e non ci siano picchi di domande di assunzione, di assumerli immediatamente”. Lo stesso Presidente ha ammesso che “è una misura estrema, con il superamento delle procedure concorsuali standard, ma necessaria a causa del deficit formativo, per attirare i medici pugliesi e non che lavorano fuori”. Molto vibrate sono state le proteste di tutti i sindacati medici e sono evidenti i limiti della proposta in ordine alla compatibilità alla luce dell’art. 97, comma 3, della Costituzione. È molto probabile che sia stata soltanto una provocazione, quasi una istigazione alla disubbidienza civile, ma tuttavia è del tutto segnaletica di una profonda crisi del reclutamento e della quasi completa mancanza di soluzioni praticabili e “normali”.
Graduatorie concorsuali riservate agli specializzandi
La legge di Bilancio per il 2019 aveva introdotto la possibilità di far partecipare ai concorsi pubblici gli iscritti al quarto e quinto anno di specializzazione. Qualora idonei, i candidati sarebbero stati inseriti in una graduatoria separata e assunti a tempo indeterminato una volta conseguita la specializzazione. Le criticità contingenti hanno poi costretto il legislatore a “scendere” negli anni di iscrizione consentiti, per cui molte aziende si sono trovate in difficoltà nella redazione delle graduatorie. Da quando è stato possibile ammettere gli specializzandi ai pubblici concorsi, alcune aziende avevano iniziato con la “graduatoria specialisti” e la “graduatoria specializzandi” che comprendeva solo gli iscritti all’ultimo anno della scuola di specialità. Successivamente, sono stati ammessi gli iscritti al quarto anno e le graduatorie sono diventate tre: specialisti, specializzandi ultimo anno e specializzandi penultimo anno. Così con gli iscritti del terzo anno, si è poi continuato a redigere graduatorie separate per anno di corso in modo da utilizzare i medici più vicini a conseguire il titolo di specialista. La distinzione per anno di corso è sempre stata fatta già in sede di ammissione candidati alla procedura concorsuale, senza però che ciò fosse precisato nel bando. Attualmente sono da considerare anche gli specializzandi del secondo anno e i dubbi riguardano l’alternativa tra fare più graduatorie per gli specializzandi ovvero un’unica graduatoria basata sul miglior punteggio, senza tener conto dell’anno di frequenza al corso di formazione specialistica.
Una ulteriore criticità riguarda la modalità di scorrimento dei medici specializzandi che hanno partecipato ad un concorso. Rispetto alla graduatoria formata dagli specializzandi – che si scorre naturalmente dopo quella degli specialisti- le aziende chiamano in ordine di graduatoria ma se qualcuno si specializza, si da preferenza a quest’ultimo ancorché si trovi in graduatoria, in posizione sottostante rispetto ad altri specializzandi. Ma da qualche parte si sostiene che lo scorrimento debba avvenire nel rigoroso rispetto della graduatoria e lo specializzando più in alto in graduatoria abbia il diritto ad essere chiamato prioritariamente, permanendoa tempo determinato sulla sede offerta sino al conseguimento della specializzazione. Rispetto alla prima problematica, a mio parere, la soluzione migliore è la seconda. Infatti, il comma 547 della legge 145/2018 – anche in tutte le successive modificazioni e integrazioni – si riferisce sempre ad una “graduatoria separata”, utilizzando il singolare. Di conseguenza, credo che il modo più corretto di aderire alle intenzioni del legislatore sia quello di elaborare una graduatoria unica con tutti gli specializzandi senza distinzione di anno di specializzazione da utilizzare nel tempo secondo l’ordine dei punteggi e non dell’anno di iscrizione. Per ciò che concerne l’altra tematica, credo che operino correttamente le aziende che scorrono la graduatoria perché – la norma non utilizza il termine “può” ma il termine “sono” che depone per una assunzione automatica o obbligatoria al conseguimento del titolo e perché, inoltre, si dovrebbe privilegiare la copertura del fabbisogno con il tempo indeterminato e non determinato. L’idoneo in graduatoria che si specializza acquisisce un diritto soggettivo e assume la veste di automatico vincitore. L’altra tesi non tiene conto che un rigoroso rispetto della graduatoria avverrebbe tra persone in condizioni soggettive molto diverse e sarebbe profondamente ingiusto perché gli specializzati rispondono in pieno a quanto previsto dall’art. 15, comma 7, del 502 mentre gli specializzandi fruiscono di una norma speciale che già li favorisce ma non fino ad avere equiparazione completa con gli specializzati.