L’Italia deve ancora spiegare a se stessa quei trentamila e quarantotto in più. Questa cifra — 30.048 — rappresenta il numero dei decessi in più del 2020 che non sono stati attribuiti a Covid-19.
Perché? E cosa è successo esattamente? Negli ultimi giorni del 2020 Istat, l’istituto statistico, ha diffuso i dati di una tristissima contabilità: il numero di morti in Italia fra marzo e novembre, in confronto alle medie dei 5 anni precedenti. In questi 9 mesi decisivi della pandemia risulta un eccesso di 85.624 decessi sugli andamenti fra il 2015 e il 2019. Tuttavia, solo i due terzi di questi si spiegano ufficialmente con Covid-19. In base al dashboard del ministero della Sanità, si contavano fino alla fine di novembre scorso 55.576 morti sui quali era stato trovato il coronavirus. Dunque durante il drammatico 2020 ci sono stati almeno trentamila decessi in più rispetto alla normalità del passato.
Sono anche queste vittime Covid, che però non hanno avuto una diagnosi? O i sistemi sanitari, travolti dalla pandemia, hanno smesso di curare tumori o patologie cardiache con l’attenzione di prima?
I dubbi
Non sono stati fatti sufficienti tamponi o sono stati curati meno bene altri malati?
I numeri, da soli, sono muti. Non permettono di rispondere a queste domande essenziali su ciò che è successo realmente l’anno scorso. Non restituiscono la verità su quei trentamila. È possibile però scomporli su base territoriale, per farsi un’idea. La prima risposta è che l’anno scorso la mortalità nel Paese è aumentata del 19% — un po’ sopra il mezzo milione di persone in tutto — ma dietro questa media si nascondono enormi differenze territoriali. Ci sono province in cui i decessi non sono mai aumentati (Cagliari, Caltanissetta, Rieti) o lo hanno fatto pochissimo (Agrigento, Messina, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Matera, Chieti, Salerno, Benevento, Viterbo, Siena). Ce ne sono altre invece dove il numero dei decessi è quasi raddoppiato o comunque è esploso: più 86% a Bergamo, più 76% a Cremona, più 62% a Lodi, più 57% a Brescia, più 41% a Milano. Solo nella provincia più importante della Lombardia c’è un eccesso di quasi diecimila morti rispetto alla normalità degli anni recenti. Anche Pavia, Lecco, Parma e Piacenza sono colpite duramente.
È strano che in Italia nessuno sembri avere, o voler condividere, dati sui decessi da Covid su base provinciale. Ma questi esistono per tutte le regioni e per le province autonome di Bolzano e Trento, quindi permettono di capire quanti decessi in queste ventuno aree si spiegano ufficialmente con il contagio. È un indizio prezioso. Potenzialmente, è un indicatore della performance dei sistemi sanitari nelle ventuno amministrazioni che ne sono responsabili. Più alta è la quota di decessi per Covid-19 sul totale dei morti in eccesso, più è chiaro che una regione è riuscita a mantenere le cure anche per le altre malattie e a diagnosticare gran parte dei contagiati dal virus: non ci sono molti altri morti in più che restano non spiegati. All’opposto una quota bassa di casi di Covid sul totale dei morti in eccesso può voler dire che molti morti per il virus non hanno avuto un tampone, oppure che i malati di patologie diverse non sono stati più curati (e salvati) come prima.
Anche qui le variazioni sono ampie. In Abruzzo e in Friuli-Venezia Giulia ci sarebbero stati addirittura meno decessi del solito, non fosse stato per Covid: probabile che i lockdown abbiano ridotto gli incidenti stradali e altre morti violente o da stress. In Calabria e in Puglia invece solo quattro morti in eccesso ogni dieci si spiegano con la pandemia; nella regione del governatore Michele Emiliano si contano nel 2020 oltre duemila decessi in più, rispetto ai tempi normali, che non hanno spiegazioni immediate. Nella media italiana il 65% della mortalità in più dell’anno scorso è dovuta al virus. Ma Toscana, Lazio, Umbria, Emilia-Romagna, Veneto, Val d’Aosta fanno registrare risultati un po’ meno drammatici. Per loro almeno tre quarti dei morti in eccesso sono da Covid, senza molte altre anomalie ad aggravare il bilancio. Più o meno nella media nazionale sono Lombardia, Liguria, Sicilia e la provincia di Bolzano. Sotto la media di questo indicatore di performance invece Trento, il Piemonte (57%), la Campania, la Calabria e la Sardegna.
Il Corriere della Sera