Regola dell’indennizzo: dovrebbe valere sia in casi d’insufficienza di prove sia se il caso contestato non giustifica il licenziamento. Potrebbe non esserci più reintegrazione per insufficienza di prove. Perché il licenziamento disciplinare venga equiparato a quello discriminatorio occorrerà che risulti pienamente dimostrato il carattere calunnioso della contestazione e che questa abbia per oggetto un reato grave.
Altrimenti, la contestazione non pienamente confermata dall’istruttoria giudiziale potrà portare soltanto alla condanna dell’impresa a un indennizzo, come accadrà per tutti i licenziamenti di natura economica od organizzativa non approvati dal giudice.
Ieri la commissione Lavoro della Camera ha chiuso l’esame del Jobs act (oggi sarà votato il mandato per l’Aula al relatore, e presidente, Cesare Damiano); ma il Governo è già al lavoro sui decreti delegati, in particolare su quello che dettaglierà il nuovo contratto a tutele crescenti.
La cornice dell’intervento è contenuta nel ddl delega, con la cancellazione della tutela reale (reintegrazione) per i licenziamenti economici e organizzativi, il mantenimento del reintegro per quelli nulli e discriminatori e per «specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato».
Su quest’ultimo punto, l’obiettivo dell’Esecutivo è ridurre drasticamente la discrezionalità dei giudici, correggendo le criticità interpretative sorte con l’applicazione dell’articolo 18, post legge Fornero. Facciamo un esempio, su uno dei casi concreti pubblicati sul sito del giuslavorista Pietro Ichino. Un impiegato di banca lascia il proprio badge sul suo terminale, consentendo così a dei truffatori di acquisire il tabulato pieno di dati riservatissimi sui conti correnti dei clienti. Viene licenziato dall’istituto. Il giudice lo reintegra perché ritiene dimostrata la negligenza grave, ma non pienamente dimostrato il dolo, cioè la connivenza volontaria con i truffatori.
La nuova normativa sui disciplinari, nelle intenzioni dei tecnici di palazzo Chigi, dovrebbe cancellare la reintegra in queste ipotesi, perché la regola generale sarà l’indennizzo, e non la reintegrazione; e questa regola si applicherà sia nel caso di insufficienza di prove circa la colpa grave, sia nel caso in cui una qualche colpa del lavoratore verrà accertata, ancorché non ritenuta dal giudice sufficiente per giustificare il licenziamento. In questo senso, l’intendimento dell’Esecutivo sarà quello di individuare fattispecie che delimitano i casi in cui la contestazione rivolta al lavoratore è molto grave, come il caso del reato perseguibile d’ufficio, e sia pienamente provato il suo carattere calunnioso, che la rende equiparabile alla discriminazione ai danni del lavoratore: solo in questo caso scatterà la reintegra. In ogni altro caso si applicherà un indennizzo economico inversamente proporzionale rispetto alla colpa del lavoratore. L’alternativa, allo studio, sarebbe questa: o una delimitazione molto stretta della fattispecie cui può applicarsi la reintegrazione, oppure, sulla falsariga del modello spagnolo, la valvola di sicurezza costituita dalla possibilità anche per l’imprenditore di optare comunque per un indennizzo rafforzato.
Da quanto si apprende, si starebbe valutando anche l’opportunità di inserire già nel primo decreto delegato, quello su tutele crescenti e articolo 18 che entrerà in vigore il primo gennaio, anche la normativa sul contratto di ricollocazione, che costituisce il nuovo strumento su cui punta il Jobs Act per dare sicurezza ai lavoratori nel mercato. Si ragiona di riconoscerlo al lavoratore licenziato con almeno due anni di anzianità aziendale.
Un pò più delineata è la parte del decreto delegato che interessa il licenziamento per motivo economico od organizzativo, che potrebbe comprendere anche il caso dello scarso rendimento. Qui si dovrebbe prevedere un doppio binario: un indennizzo monetario fino a un massimo di 1,5 mensilità per ogni anno di anzianità aziendale, con un tetto di 36 mensilità, oltre il quale il giudice non potrà andare; con la possibilità per il datore di versare spontaneamente un’indennità al lavoratore licenziato (una mensilità per ogni anno di servizio, con un limite di 24 mensilità). A questo punto, se il lavoratore rifiuta la conciliazione, deve restituire la somma ricevuta e impugnare il licenziamento entro un termine breve e “certo”; altrimenti la conciliazione si intende raggiunta per comportamento concludente. La novità rispetto alle regole attuali è evidente: oggi per i licenziamenti economici, per giustificato motivo oggettivo, è previsto il pagamento di un’indennità. Ma se il fatto è «manifestamente insussistente» scatta il reintegro più il risarcimento. Con il nuovo contratto a tutele progressive quest’ultima previsione (già frutto di mediazione ai tempi del varo della legge Fornero) non ci sarà più. «Il lavorio tecnico sui decreti delegati si accentuerà tra il passaggio del Jobs act dalla Camera al Senato – ha detto il sottosegretario Teresa Bellanova -. Ci sono diverse ipotesi sul tappeto, le approfondiremo insieme ministero del Lavoro e palazzo Chigi. I tempi dovranno essere certi. Abbiamo rinunciato alla vacatio legis per mandare subito i testi alle commissioni per i pareri e per fare in modo che le nuove regole partano da gennaio»
Il Sole 24 Ore – 20 novembre 2014