La riforma dell’articolo 18 entra nel Jobs Act. Per i licenziamenti disciplinari dichiarati nulli da un giudice, sarà previsto il reintegro nel posto di lavoro. Tutela reale anche per quelli discriminatori, indennizzo monetario per i licenziamenti dovuti alla crisi economica dell’azienda. È questo il cuore dell’accordo raggiunto ieri all’interno del Pd.
Dunque cambierà una parte della legge sulla riforma del mercato del lavoro perché la regolamentazione dei licenziamenti individuali ingiustificati non sarà rinviata ai decreti attuativi (come il governo aveva intenzione di fare), ma diventerà parte integrante del testo in discussione alla Camera (come chiedeva la minoranza del Partito democratico). Il testo dovrà poi tornare al Senato per una terza lettura, perché nella versione approvata da Palazzo Madama non c’era alcun riferimento all’articolo 18. L’esecutivo si è impegnato a varare i decreti attuativi entro la fine dell’anno per permettere l’applicazione della riforma fin dal primo gennaio 2015 quando, con la legge di Stabilità, scatteranno pure gli sgravi contributivi a favore delle nuove assunzioni a tempo indeterminato, le prime cioè con il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”.
I LICENZIAMETI DISCIPLINARI
Di fatto, con l’intesa di ieri tra i democratici si è parzialmente tornati all’impianto della legge Fornero del 2012. L’intenzione del governo è però quella di fissare in maniera più chiara possibile (tipizzazione, la chiamano) i casi nei quali il licenziamento disciplinare potrò essere dichiarato nullo dal giudice, cercando di azzerare i margini di discrezionalità del magistrato. Per fare un esempio: un lavoratore licenziato dal proprio datore di lavoro con l’accusa di aver rubato, verrà reintegrato se il giudice dovesse accertare non solo che non aveva commesso il fatto ma anche che l’imprenditore ne era perfettamente al corrente. Un licenziamento nullo, quindi, seguito dalla tutela reale per il lavoratore, cioè la riammissione.
GLI ALTRI LICENZIAMENTI
Restano del tutto invariate, rispetto alle indicazioni che aveva fornito il ministro Poletti al Senato, le discipline per le altre due “famiglie” di licenziamenti: per quelli discriminatori (per motivi di razza, religione o idee politiche, per esempio) sarà previsto il reintegro; per quelli economici (per crisi aziendali) il ricorso all’indennizzo monetario crescente in base all’anzianità di servizio. In tutti i casi le innovazioni normative riguarderanno esclusivamente i neo assunti. Per gli altri lavoratori ai quali si applica attualmente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (nelle aziende con più di quindici dipendenti) non cambierà nulla.
I CONTROLLI A DISTANZA
C’è un’altra novità nell’intesa raggiunta ieri. Anche questa viene incontro alle richieste della minoranza del partito: il controllo a distanza, indipendentemente dall’esistenza di un relativo accordo sindacale, non riguarderà le persone, cioè i lavoratori, bensì gli impianti, gli strumenti per il lavoro in senso stretto. Secondo il governo questo era già chiaro nel testo approvato dal Senato ma poiché dalla minoranza dem veniva una richiesta di maggiore chiarezza, un emendamento ne fisserà meglio i contorni. Non cambia, invece, il capitolo sul demansionamento: in casi di ristrutturazione aziendale, il datore di lavoro, con la disponibilità del lavoratore che così non perderà l’occupazione, potrà inquadrare a un livello inferiore il dipendente senza ridurre però la retribuzione.
PIU’ RISORSE PER GLI AMMORTIZZATORI
Il governo si è impegnato anche incrementare le risorse destinate agli ammortizzatori sociali che saranno progressivamente estesi a tutti i lavoratori, indipendentemente dal rapporto di lavoro. Lo stanziamento potrebbe passare dagli attuali 2 miliardi indicati nella legge di Stabilità a circa 3,4 miliardi, comprensivi dei 700 milioni circa per la cassa integrazione in deroga. Ma su questo bisognerà fare i conti con i “controllori” di Bruxelles.
MENO CONTRATTI PRECARI
Impegno del governo pure a rafforzare il cosiddetto “disboscamento” dei contratti precari. Salteranno i collaboratori e le false partite Iva. Resteranno i contratti a tempo determinato tanto più dopo la liberalizzazione introdotta con il “decreto Poletti”. L’intento della riforma è quello di fare del contratto a tutele crescenti la strada standard per l’ingresso nel mondo del lavoro. (Repubblica)
Jobs Act, modifiche sull’articolo 18. Reintegra estesa ad alcuni casi di licenziamenti disciplinari
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Sul Jobs act il Pd alla Camera si ricompatta sulle modifiche da apportare al testo approvato dal Senato, oggetto di un’intesa raggiunta ieri in extremis con il Governo che viene però contestata dal Nuovo centrodestra e da Scelta civica.
«Il 1?gennaio entreranno in vigore le nuove regole sul lavoro, l’articolo 18 dal 2015 sarà superato, ci saranno minori costi per gli imprenditori, più soldi in busta paga per i lavoratori, una riduzione delle forme contrattuali e regole più chiare», ha commentato il premier Matteo Renzi da Bucarest, «si semplifica tutto, è un grandissimo passo in avanti». Sul Jobs act «la partita è chiusa, il Parlamento voterà nelle prossime ore», ha aggiunto il presidente del consiglio, senza escludere che verrà posta la fiducia sulla nuova versione del Ddl delega.
Eppure l’accordo sembrava ancora in alto mare mercoledì sera, quando la bussola pendeva sul ricorso alla fiducia al testo del Senato, contro cui è schierata la minoranza del Pd. Ma intervenendo alla direzione del Pd Renzi aveva lasciato aperta anche la possibilità di modificare il testo, purché si rispettasse il timing stringente fissato dal governo. Così ieri per un’intera giornata è stato necessario un paziente lavoro di mediazione, la svolta si è avuta intorno all’ora di pranzo, quando si sono incontrati il presidente della commissione Lavoro della Camera (relatore) Cesare Damiano, con i componenti Pd della commissione, il capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, e il responsabile economia, Filippo Taddei.
Nel pomeriggio Renzi ha dato il suo assenso all’accordo, dopodiché si è aperto il problema con il Ncd: i capigruppo di Senato e Camera, Maurizio Sacconi e Nunzia De Girolamo, hanno sollecitato un vertice minacciando conseguenze sulla coalizione, incassando il «no» da parte del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi: «Non sono necesari vertici di maggioranza – ha detto – è sufficiente il lavoro parlamentare». Poi in serata Sacconi e De Girolamo si sono incontrati a palazzo Chigi con Taddei e il sottosegretario Luca Lotti per un chiarimento che è servito ad attenuare le tensioni in seno alla maggioranza. «Si tratta – hanno commentato i due esponenti del Ncd –, non possono pensare che in Parlamento risolviamo i problemi della maggioranza e della minoranza del Pd». Dal Senato anche Pietro Ichino (Sc) ha espresso le sue critiche: «È evidente che qualsiasi novità dovrà essere concordata tra tutte le componenti della maggioranza», ha detto ribadendo, la propria «indisponibilità ad avallare decisioni che rendano meno chiaro e netto il senso e il contenuto della riforma».
Veniamo ai contenuti dell’accordo. Sui licenziamenti la delega farà riferimento ai contenuti dell’ordine del giorno votato dalla direzione nazionale Dem di fine settembre che per i licenziamenti economici prevede il solo indennizzo economico crescente con l’azianità, eliminando la possibilità del reintegro, che viene confermato per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa indicazione della fattispecie. In serata è emerso che la formulazione finale non sarà la stessa dell’ordine del giorno del Pd, perché nella stesura dell’emendamento il Governo intende tenere conto delle varie anime che compongono la maggioranza. Del testo del Senato verrà modificata la parte relativa ai controlli a distanza specificando che si fa riferimento agli apparecchi tecnologici e non alle persone, ci sarà l’impegno al disboscamento delle forme contrattuali precarie. «Nel confronto con il Governo – commenta Damiano – è stato trovato un accordo che scongiura l’ipotesi di mettere la fiducia sul testo del Jobs Act uscito dal Senato, migliorando la delega, non solo sull’annosa questione dell’articolo 18 ma anche su altri temi come i controlli a distanza o le cure parentali».
Quanto ai tempi, oggi alle 11,30 inizierà l’esame in commissione Lavoro sull’ammissibilità dei circa 550 emendamenti. Il voto in commissione comincerà domenica alle 16 e proseguirà fino a giovedì 20. Venerdì 21 il provvedimento arriverà in Aula alla Camera, che dovrà dare il via libera entro mercoledì 26, per poi tornare al Senato in terza lettura. Per rispettare questa scadenza, però, è necessario che l’Aula di Montecitorio lunedì si pronunci sul termine del voto fissato per il 26 novembre, il giorno dopo dovrà approdare la legge di stabilità. (Il Sole 24 Ore)
14 novembre 2014