L’itticoltura italiana chiude un 2011 positivo. Allevamento in acqua dolce nel Nord, in testa il Veneto e il Bresciano
L´itticoltura italiana chiude un 2011 positivo, anche se all´Api, l´Associazione piscicoltori italiani che ha sede a Verona, c´è la convinzione che si poteva fare di più. Il quadro positivo è dato da una acquacoltura molto diversificata (vasche a terra e allevamenti in mare o in valli e stagni), da una elevata specializzazione produttiva (partendo dal novellame) e da una ampiezza di offerta a tutto campo, anche se emblematica è, per l´acqua dolce, la trota ai vertici della produzione comunitaria.
In questo quadro si inserisce l´Api con oltre 330 imprese con 800 siti di allevamento,che rappresentano il 90% della produzione di pesce di allevamento: trota, appunto, ma anche spigola, orata,anguilla, storione (una produzione difficile, ma che si sta evolvendo in alta qualità e in varie aree del Nord, Veneto in testa, oltre che nella base storica bresciana), caprinidi, ombrina, pesce gatto, persico spigola, tonni e molluschi. La produzione globale è di oltre 72.130 tonnellate (60% Nord, 18% Centro, 22% sud e Isole) per una produzione lorda vendibile che supera i 350 milioni di euro. Un sistema che, con l´indotto, occupa 15.000 addetti.
Ovviamente, oltre agli aspetti positivi ci sono anche i problemi. Il primo si chiama concorrenza. «Branzini ed orate d´importazione, ad esempio», spiega il direttore dell´Api Antonio Trincanato, «costa meno dei nostri, ma noi diamo garanzia lungo tutta la filiera, a partire dal mantenimento della catene del freddo per non parlare dei rigorosi controlli sanitari e dei tempi tra la pesca e la disponibilità da parte dei consumatori. È una filiera corta, poi, che garantisce il minimo impatto ambientale, a partire dai trasporti. Ma è soprattutto il controllo che è il più avanzato al mondo».
«I prodotti ittici entrino nelle mense delle scuole»
Il pesce d´allevamento italiano chiede di poter entrare in modo stabile nell´alimentazione degli scolari – soprattutto dall´asilo alle primarie – per contribuire, con una sorta di catering sociale, ad una corretta dieta e per rilanciare tra i bambini e le loro famiglie il consumo di pesce.
«Ci sono già delle iniziative pilota», dice il direttore dell´Associazione piscicoltori italiani, Antonio Trincanato, «ma questi sviluppi vanno incoraggiati per una serie di vantaggi evidenti che l´introduzione del pesce nella refezione scolastica comporterebbe». Il primo è senz´altro quello della sicurezza alimentare. «Ormai i nostri allevamenti, soprattutto nel Nord Italia», spiega, «sono vicini al consumo. Così si potrebbe davvero proporre il pesce a km zero, visto che in appena otto ore può arrivare dalla vasca al tavolo e che siamo in grado di produrre tutta una serie di tipologie di prodotti elaborati, con il pesce – penso soprattutto alla trota – già sfilettato o pronto come hamburger».
Sicuramente poi subentra nel ragionamento la sicurezza alimentare. «Mangimi, tecnologia e natura», ricorda il direttore dell´Api, «contribuiscono a un quadro decisamente favorevole. Anche con i contributi istituzionali siamo arrivati ad una precisa tecnica produttiva e ad una generalizzazione sistematica dei controlli sanitari che ci permettono di dire: fidati in modo assoluto del pesce di allevamento italiano. C´è una nuova frontiera più avanzata per il consumatore che, per di più, sa che può avere prodotti tipici a costi ragionevoli»
L´altro vantaggio è decisamente quello economico ed occupazionale.
Si pensi che Verona , oltre ad avere i suoi allevamenti, è la capitale europea della mangimistica per prodotti ittici, con tutta una serie di attività lungo la filiera dalle materie prime alla lavorazione ai trasporti.
L’Arena – 9 gennaio 2012