Paolo Baroni. In quanto a pressione fiscale effettiva (o legale, che dir si voglia) non ci batte nessuno: l’anno passato, secondo le stime di Confcommercio, abbiamo raggiunto il 53,2%! Record assoluto in tutto l’occidente. Quasi dieci punti in più della pressione fiscale apparente, che invece si è attestata al 44,1 per cento del Pil.
Formalmente in Svezia, Austria, Francia e Danimarca si pagano più tasse che in Italia (il range oscilla tra il 45 ed il 50,4%), nella realtà però avviene il contrario. Se infatti dal calcolo si toglie la quota di attività sommerse, che in Italia valgono il 17,3 % del Pil e che già oggi vengono incorporate nel calcolo del prodotto interno lordo, la situazione si ribalta. «Siamo pagatori di troppe tasse», denuncia Confcommercio che punta il dito contro una pressione fiscale esagerata che finisce per «mortificare la crescita».
Lo studio presentato ieri non lascia spazio a dubbi: tra il 1996 ed il 2007 in quanto a crescita aggregata l’Italia ha messo a segno un misero +14,8% a fronte del +24,3 dell’Eurozona e del +30,8 della media Ue. Stesso andamento anche nei periodi di crisi: tra il 2008 ed il 2013, infatti, la crescita cumulata del nostro Pil ha messo a segno un pessimo -11%, contro il -3,5% dell’Eurozona e il -2,5% dell’intera Ue.
«Tutti i paesi europei crescono poco ma l’Italia è ferma», certifica così il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. «E visto che le performance del 2014 sono compromesse, perché ormai abbiamo capito che al massimo quest’anno cresceremo dello 0,3%, attenzione a non distruggere le basi per la ripresa nel 2015. Interveniamo al più presto tagliando le tasse». Per Sangalli, questa, «è la migliore medicina per curare le malattie economiche e sociali, a cominciare dalla povertà, più che raddoppiata in Italia da quando Pil e consumi hanno cominciato una rapida e fin qui inesorabile discesa». Inoltre «è l’unica strada percorribile anche per una maggiore equità, è l’unica strada per fare crescere l’occupazione, è l’unica strada per restituire fiducia alle nuove generazioni».
Il nodo-tasse, come ha spiegato poi il nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi, è innanzitutto una questione di semplificazione. «Occorre distinguere tra tipologie di contribuenti, individuare chi è evasore e chi invece non lo è, chi fa solo errori» e poi bisogna accelerare sul terreno della semplificazione», e questo la Orlandi lo dice a ragion veduta, posto che anche lei «ha perso un intero pomeriggio per compilare la dichiarazione Imu/Tasi». Il 730 inviato a domicilio a 20 milioni di italiani andrà certamente in questa direzione – ha poi aggiunto – «ma occorre fare attenzione a non cambiare le regole all’ultimo perché poi tutta la macchina si inceppa». E mentre Renato Brunetta critica il governo, «perché in tutti questi mesi ha perso tempo con le riforme, mentre avrebbe potuto più utilmente dar corso alla delega fiscale che si trovava già pronta», il viceministro dell’Economia Enrico Morando, oltre a ripetere che per il 2014 non serve una manovra (mentre per Sangalli se si va avanti così a ottobre sarà inevitabile), anche se non è del tutto convinto dell’equazione tasse alte/bassa crescita, non può nascondere che l’Italia «ha il poco invidiabile primato della tassazione su imprese e lavoro». Ma «se il Pil nazionale cresce la metà degli altri paesi quando l’economia va bene e cala del doppio quando c’è la crisi significa che ci sono problemi strutturali da aggredire». Ed è a qui che occorre partire.
La Stampa – 30 luglio 2014