Nadia Ferrigo. Come può la patria indiscussa di pane, pasta e pizza, essere descritta come un paradiso per i celiaci? Chi deve rinunciare al glutine, sostanza proteica contenuta nei cereali, è destinato a veder sfilare davanti a sé un’infinità di prelibatezze bandite. Niente colazione con cappuccio e cornetto, niente pizzeria con gli amici, scordatevi le spaghettate di mezzanotte e anche il panino in autogrill. Considerato che l’unica soluzione possibile è eliminare del tutto il glutine dalla propria dieta, più che un paradiso somiglia a una corsa a ostacoli tra le più terribili tentazioni.
Sarà proprio perché non poter mangiare pane né pasta pare una condanna, ma il nostro Paese ha riservato al problema una straordinaria attenzione, nata già all’inizio degli Anni Ottanta. Attenzione che è cresciuta con costanza, come dimostrano le diagnosi che crescono a un ritmo sostenuto e la disponibilità dei prodotti dietetici, negli ultimi dieci anni più che decuplicata.
Business in crescita
È sempre più facile trovare sia ristoranti che pizzerie che si premurano di offrire un’alternativa «senza» e siamo primi in Europa tra i consumatori di prodotti gluten free.
Con un ma. I prodotti in Italia costano di più che all’estero, e sono più cari nelle farmacie che al supermercato. Malta e Italia sono infatti gli unici Paesi che per garantire ai celiaci «un’alimentazione equilibrata» danno un sussidio per l’erogazione gratuita dei prodotti gluten free. Dal 1982 il ministero della Salute prevede un bonus mensile, che cambia a seconda di età, sesso e Regione, da spendere in farmacia per fare scorta di prodotti dietetici. Con il decreto Veronesi del 2001, sono nati anche i «negozi specializzati», dedicati esclusivamente ai prodotti contrassegnati dalla spiga barrata. Nel 1972 un gruppo di genitori di bimbi celiaci fondò l’Aic, l’Associazione italiana celiachia, ancora oggi attiva.
I celiaci in Italia
Anche se il ministero della Salute stima che l’1 per cento della popolazione italiana sia celiaca, vale a dire circa 600 mila persone, secondo la relazione annuale del Parlamento a oggi i casi diagnosticati sono 182.858. Solo otto anni fa, erano meno della metà.
Le diagnosi galoppano con aumento di oltre il 10 per cento di anno in anno. Due terzi sono donne, al primo posto si trova la Lombardia, seguita da Lazio e Campania. Funziona così: il celiaco dispone di un bonus mensile di circa 140 euro, che può spendere nella sua Regione per i prodotti sostitutivi. La cifra è stata fissata dal legislatore nel 2001 sulla base dei fabbisogni calorici giornalieri, intendendo che dovessero coprire solo il 35% del fabbisogno complessivo del celiaco.
Offerta triplicata
Nei primi Anni Novanta c’erano solo desolanti scaffali popolati da fette biscottate, pastina da minestra e biscottino granulato per i bimbi Biaglut, un marchio del colosso dell’agro alimentare Newlat.
Qualche tempo dopo fece la sua comparsa la Dr. Schär, che oggi copre circa il 46 per cento del mercato italiano. Chi scrive, fa la spesa in farmacia da una trentina d’anni: nel 2001 il Registro nazionale dei prodotti celiaci contava 281 alimenti. In una farmacia di media dimensione c’erano due tipi di biscotti, uno con cioccolato e l’altro senza. Il pane in cassetta, spaghetti e fusilli, le fette biscottate. E poi la farina, difficile se non difficilissima da usare: il glutine è la proteina che riesce a dare struttura e coesione ai farinacei, così anche una banale torta alle mele si rivela un’impresa di fine ingegneria.
Dieci anni dopo, i prodotti erano poco meno di tremila. Tra il 2012 e il 2016 sono triplicati: secondo l’ultimo aggiornamento, pubblicato il mese scorso, sono circa 6.500. Si può spaziare tra 300 biscotti, 600 diversi tipi di pasta, 50 di taralli e 40 di panettoni.
Da occupare con mestizia un paio di scaffali, i prodotti con la spiga barrata si sono moltiplicati fino a diventare dei mini market ospitati dalle farmacie in cui si trova di tutto: olive ascolane, cotoletta impanata, la birra – che però non è compresa tra gli erogabili – e anche prodotti che di glutine in natura non ne hanno, come biscotti di mais e farina di riso, croccante alle mandorle.
Assolutamente concessi nella dieta del celiaco, ma con una garanzia in più: nel processo di produzione non c’è alcuna contaminazione, e quindi non sono solo sicuri, ma sicuri con certificazione. Sono oltre trecento le aziende autorizzate a vendere i propri prodotti in farmacia.
Tra i principali player del mercato dietro a Dr. Schär ci sono il gruppo internazionale Heinz e la società farmaceutica Giuliani. Nel 2014 il Servizio sanitario nazionale ha destinato ai bonus per i celiaci circa 240 milioni di euro, a fronte di un mercato complessivo stimato in 320 milioni. Tutto nel mondo del senza glutine porta il segno più, tranne il prezzo dei prodotti. Un chilo di pasta senza glutine costa in media otto euro al chilo. Un chilo di biscotti? Senza esagerare si sfiora una media di trenta euro.
Domanda anelastica
Anche la grande distribuzione si è accorta in fretta del mercato della celiachia, dal 2012 a oggi cresciuto di oltre l’80 per cento. Le vendite a valore sono passate da 57 milioni di euro a oltre 105 milioni in tre anni. In un’indagine Coop sulle categorie con le performance migliori, al primo posto ci sono i prodotti celiaci. Tutte le previsioni sono in rialzo. I prodotti salutistici, quelli che eliminano grassi e sostanze non salutari oppure elementi nutrizionali incompatibili con le esigenze di alcune persone intolleranti, sono sempre più presenti e apprezzati. Nel rapporto Nielsen «Gli italiani e la buona tavola» che analizza il segmento less is more, costituito da quegli alimenti «alleggeriti» di alcune sostanze e che quindi vengono percepiti, correttamente o meno, come più vantaggiosi per la salute, la crescita per i prossimi anni è costante e a doppia cifra.
Senza diagnosi
Nonostante il boom del mercato celiaco, che coinvolge anche chi una diagnosi vera e propria non ce l’ha, il 75 per cento dei prodotti viene comunque acquistato in farmacie e negozi specializzati. Nelle farmacie i prezzi dei prodotti non sono esposti: con un bonus mensile, si bada di più alle preferenze di gusto e marca che al prezzo.
Il cliente finale è lo Stato, per cui all’aumentare delle diagnosi e delle vendite di prodotti senza glutine il costo non diminuisce, perché le aziende produttrici non hanno nessun incentivo a fissare cifre più ridotte.
Anche se le materie prime non sono più care, pesano gli investimenti in ricerca e sviluppo, la necessità di creare linee produttive separate. E poi ci sono i costi burocratici legati all’inserimento del Registro Nazionale e alle certificazioni di idoneità.
La filiera di acquisto delle farmacie può essere anche molto lunga, perché passa dalle cooperative farmaceutiche che garantiscono alle diverse farmacie alcuni servizi, come la consegna di prodotti esauriti in brevissimo tempo. Per i negozi specializzati il rifornimento richiede più tempo e più costi di gestione, perché devono fare l’ordine alle case produttrici rispettando anche dei minimi di acquisto per la consegna. Le grandi catene di supermercati invece possono acquistare notevoli quantità di prodotti. L’Osservatorio Aic ha realizzato rilevazioni nel 2011, 2013 e 2015 per monitorare la differenza di prezzo nei diversi canali, realizzando un paniere con i 12 prodotti più acquistati dai consumatori celiaci italiani.
Nella prima rilevazione, limitata a un numero ristretto di Regioni, il risparmio della grande distribuzione rispetto alla farmacia è in media di 20 euro e 70, nella seconda, estesa a tutto il territorio nazionale, il divario persiste. L’ultima indagine di Aic è del 2015 e tiene conto anche dei negozi specializzati, che risultano essere i più cari in assoluto. Considerando il divario tra grande distribuzione e farmacie, l’andamento medio nazionale ruota intorno ai 12 euro e 60 centesimi: le Regioni con differenza minima sono Emilia Romagna (5,32) e Umbria (6,64 euro), quelle con forbice più ampia Toscana (21,05 euro) e Lombardia (18,43 euro).
Il divario insomma è diminuito, ma si è assestato al rialzo e non al ribasso: come dimostra la ricerca di Aic, con il tempo i prezzi della grande distribuzione sono aumentati, ed ecco perché si sono avvicinati a quelli delle farmacie.
Un sistema sostenibile?
Uno dei traguardi del sistema sanitario nazionale è l’aumentare delle diagnosi. I sintomi sono diversi, e non sempre facili da individuare: se trascurata, la celiachia può portare a conseguenze anche molto gravi, con una qualità di vita destinata a peggiorare sempre più. Insomma, la terapia, tutto sommato è semplice: basta eliminare il glutine dalla dieta. Ma se come auspicabile si arriverà a 600 mila diagnosi, potrà il Servizio sanitario nazionale sostenere la spesa? Ed è corretto che lo stesso prodotto costi di più per chi ne ha diritto, e di meno per tutti gli altri?
La Stampa – 28 dicembre 2016