Marzio Bartoloni, Il Sole 24 Ore. L’anno scorso oltre 4 milioni di italiani – il 7% della popolazione – ha rinunciato a cure di cui aveva bisogno. Un dato sicuramente migliore rispetto al 2020 e al 2021 quando il Covid di fatto ha frenato le cure (la rinuncia allora aveva riguardato il 9,6% e l’11,1% della popolazione), ma siamo ancora distanti dal 6,3% della fase pre Covid quando oltre 3,5 milioni di italiani avevano rinunciato a bussare a ospedali e ambulatori per le prestazioni sanitarie. Con una aggravante: per la prima volta la prima ragione a frenare gli italiani più dei motivi economici sono le liste d’attesa su cui Governo e Regioni nel recente passato (e anche oggi) hanno promesso il massimo impegno.
«Nel confronto tra il 2022 e gli anni pregressi della pandemia, emerge un’inequivocabile barriera all’accesso costituita dalle lunghe liste di attesa, che nel 2022 diventa il motivo più frequente (il 4,2% della popolazione), a fronte di una riduzione della quota di chi rinuncia per motivi economici (era 4,9% nel 2019 e scende al 3,2% nel 2022)», avverte l’Istat in una audizione dei giorni scorsi al Senato tenuta da Cristina Freguja, Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare, durante la quale sono stati illustrati i dati aggiornati dell’indagine «Aspetti della vita quotidiana»dove la stima della rinuncia a prestazioni sanitarie fa riferimento al totale della popolazione che ha bisogno di visite specialistiche (escluse le dentistiche) o esami diagnostici e ha dichiarato di averci rinunciato per problemi economici o per difficoltà di accesso al servizi.
Nel 2022 inoltre la quota di persone che ha effettuato visite specialistiche si è ridotto (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) come per gli accertamenti diagnostici (dal 35,7% al 32,0%), con punte più alte al Sud (qui la riduzione raggiunge i 5 punti percentuali). La flessione riguarda tutte le fasce d’età, ma è maggiore negli anziani con riduzioni di 6 punti per le donne. Insomma «contrariamente a quanto sarebbe stato auspicabile – sottolinea l’Istat – , non sembra quindi che nel 2022si sia riusciti a recuperare i livelli di prestazioni sanitarie pre-pandemia».Tra l’altro sempre l’Istat nota come sull’indicatore di rinuncia alle prestazioni sanitarie questa volta non pesi come in passato il cosiddetto «gradiente territoriale» che vedeva minore rinunce al Nord: una differenza, questa,che «si è annullata a partire dall’anno della pandemia e ciò continua ad accadere anche nel 2022, nonostante la flessione delle rinunce dovute al Covid-19». Non solo: «Anche le disuguaglianze sociali nella rinuncia a prestazioni mostrano, dopo il Covid, differenziali minori» e quindi anche «le fasce più abbienti sembrano dunque aver dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie in misura maggiore che negli anni precedenti la pandemia». Due spie queste che confermano come il problema più urgente ora sia la difficoltà ad accedere alle cure a causa delle liste d’attesa.
Ne è un ulteriore conferma il maggior ricorso al cosiddetto out of pocket – la spesa sanitaria pagata di tasca propria dai cittadini – o a spese garantite dalle copertura assicurativa. L’anno scorso rispetto al 2019 aumenta soprattutto la quota di persone che dichiara di aver pagato interamente a sue spese sia per le visite specialistiche (dal 37% al 41,8% nel 2022) che per gli accertamenti diagnostici (dal 23% al 27,6% nel 2022). Il ricorso alla copertura assicurativa nel 2022 riguarda una quota di poco superiore al 5% delle persone che hanno dichiarato di aver effettuato visite o accertamenti nei 12 mesi precedenti.
Che la spesa si stia spostando lo dicono anche i grandi numeri (si vedano anche i grafici in pagina): nel 2021 quella sanitaria privata ha scavallato la soglia dei 37 miliardi (+20%) raggiungendo livelli mai visti prima della pandemia. A questi si aggiungono i 4,5 miliardi della Sanità integrativa sempre a carico dei cittadini. Mentre la spesa pubblica – dopo essere schizzata per i costi legati al Covid salendo al 7,4% sul Pil nel 2021 e al 7,2% nel 2021 – sta scendendo rapidamente e si attesta quest’anno al 6,3%, senza più salire nei prossimi due anni. Decretando così un nuovo passaggio “storico”: ormai il 25% della spesa per la salute è a carico dei cittadini, come dire un euro su quattro lo mettono di tasca loro gli italiani.