La ripresa continua a creare lavoro e il tasso di disoccupazione nel secondo trimestre di quest’anno scende alll’11,2% (10,9% il dato non destagionalizzato). Buone notizie anche per l’occupazione femminile, il tasso di attività continua a crescere, avvinandosi sempre di più al 50% (49,1%). Ma il quadro delineato dall’Istat lascia aperti una serie di interrogativi. Il più importante è forse quello della trappola della disoccupazione di lunga durata, sabbie mobili dalle quali si fa sempre più fatica a uscire in Italia. Infatti l’incidenza dei disoccupati da almeno 12 mesi (1.701.000) sul totale sale al 59,9%, 1,2 punti in più in un anno. Ancora, tra i “nuovi” occupati continuano a prevalere gli over50: infatti per la fascia 15-34 anni si registrano 38.000 unità in meno, si riducono anche di più (145.000 in un anno) gli occupati dai 35 ai 49 mentre i più anziani aumentano di 336.000 unità. E anche l’Istat sottolinea come questo sia un effetto della riforma Fornero, legando l’aumento «alle minori uscite per pensionamento».
Il lavoro che “entra” è poi soprattutto precario, nonostante le riforme abbiano ridotto le tutele dell’articolo 18. Per cui l’aumento congiunturale del numero di occupati è dovuto esclusivamente ai dipendenti (più 149.000 sul trimestre precedente), ma in oltre otto casi su dieci si tratta di contratti a termine. I datori di lavoro sembrano inoltre orientarsi verso forme contrattuali che legano il meno possibile il dipendente all’impresa: le posizioni in somministrazione aumentano del 4% sul primo trimestre e del 22,2% su base annua.
Si inaspriscono poi i divari territoriali: la crescita del lavoro si concentra al Nord, anche se nel Mezzogiorno emerge un calo del tasso di inattività dello 0,2% su base annua. Il problema è che però diventare disoccupati attivi non significa diventare occupati: infatti «per le forze di lavoro potenziali è aumentata soprattutto la percentuale di quanti transitano verso la disoccupazione (dal 18,5% al 21,3%)», scrive l’Istat. Nessun miglioramento neanche sul fronte dei canali di ricerca del lavoro: gli sforzi del governo per il potenziamento dei centri per l’impiego, le nuove politiche attive, non hanno finora fatto breccia in una situazione incancrenita da decenni, che vede nei “parenti, amici e conoscenti” il canale di gran lunga principale (83,5%). I più giovani, soprattutto i laureati, però stanno cercando di smarcarsi da questi meccanismi, senza aspettare che le cose cambino dall’alto: infatti aumenta di due punti la ricerca tramite Internet.
Repubblica – 13 settembre 2017