La parola chiave è «valorizzare». Il che, fuor di metafora, significa vendere, affittare o anche lasciare in concessione, purché alla fine l’operazione faccia rima con «denari freschi». Per lo Stato, che deve abbattere il debito pubblico, e per i Comuni, che devono fronteggiare tagli d’ogni ordine e grado.
Il governo Letta ha deciso di accelerare sul fronte della dismissione degli immobili di proprietà pubblica, procedendo di pari passo con una razionalizzazione degli spazi che metta fine al paradosso per cui con una mano lo Stato abbandona i suoi palazzi lasciandoli preda dei piccioni (chi non ne ha mia visto uno nella sua città, chiedendosi: «Di chi sarà mai?»), con costi di manutenzione altissimi e rendite pressoché nulle, e con l’altra sborsa lauti affitti ai privati per dare un tetto ai suoi uffici, con una spesa che si aggira a livello nazionale sui 12 miliardi all’anno (600 milioni solo per polizia e carabinieri). Di qui la decisione di svoltare, ma senza fingere di non vedere che sul mercato immobiliare non si muove una paglia: «Non a caso abbiamo radicalmente rivisto al ribasso le previsioni di entrata stimate dal precedente governo nel Documento di Economia e Finanza, che si aggiravano attorno ai 15 miliardi – spiega il sottosegretario all’Economia, con delega al demanio, Pier Paolo Baretta – affiancando alla vendita altre soluzioni, come la locazione, la concessione o la rivitalizzazione in partnership con i privati».
Il primo strumento adottato è l’Invit, una Società di Gestione del Risparmio creata dal ministero dell’Economia (amministratore delegato l’ex direttrice dell’Agenzia del demanio Elisabetta Spitz, presidente l’ex capo di gabinetto del ministero Vincenzo Fortunato) che gestirà quattro fondi in cui confluiranno gli immobili dell’Inps e dell’Inail, le scuole dismesse e le carceri, più un quinto «fondo dei fondi», che agirà come una sorta di holding. La ricognizione è in corso (l’Inps dovrebbe immettere beni per 1,9 miliardi, l’Inail per 1,4 miliardi, altri 1,8 miliardi dovrebbero arrivare da scuole e carceri per un conto complessivo che al 2017 dovrebbe sfiorare 6,1 miliardi) ma pare certo che nell’elenco finiranno, tra gli altri, l’ex sede Inail di Treviso, all’angolo tra viale Cesare Battisti e via D’Annunzio, e la casa circondariale di Santa Maria Maggiore a Venezia, costruita nel 1926 in sostituzione del carcere della Giudecca che oggi viene utilizzato come sezione attenuata per i tossicodipendenti. L’Invit dovrà valorizzare questi edifici sondando l’interesse dei privati (anche esteri), a cominciare dalle casse previdenziali, dalle compagnie assicurative o dai fondi esteri.
Si basa invece sul principio delle concessioni il progetto «Valore Paese», che punta ad affidare alle cure degli imprenditori illuminati che si faranno avanti, per cinquant’anni, alcuni «grandi contenitori» che nelle intenzioni del demanio dovrebbero essere convertiti in strutture a vocazione turistica e culturale simbolo del made in Italy. E’ il caso delle caserme «La Rocca» e «XXX Maggio» a Peschiera del Garda, lungo le rive del lago, o di Villa Pullè a Verona («Le attuali destinazioni – si legge nel dossier – consentono anche servizi sanitari socio assistenziali») e ancora delle isole di Poveglia e di San Giacomo in Paludo a Venezia (la prima è disabitata, la seconda ha solo due edifici, un muro di cinta ed un ricovero per barche restaurati nel 1993 dal Magistrato alle acque) o, sempre in laguna, di Palazzo Erizzo, affacciato sul Canal Grande, mentre nel Vicentino si punta su Villa Rossi a Schio, appartenuta alla celebre dinasty della lana.
Terzo ingranaggio del meccanismo ideato dal ministero dell’Economia, il più importante per quantità di immobili e business (anche se la lista, sterminata, è meno suggestiva delle precedenti) è il «federalismo demaniale», ossia il trasferimento di beni dallo Stato ai Comuni, con possibilità per questi ultimi di ristrutturarli e riutilizzarli oppure di venderli, nel qual caso il 25% dell’incasso deve tornare a Roma per abbattere il debito pubblico degli enti locali stessi. A fine mese si chiuderà il termine per le manifestazioni di interesse da parte dei Comuni «e in 3 mesi appena, dunque in tempi rapidissimi, chiuderemo l’iter del passaggio di proprietà – assicura Baretta -. A quel punto in municipio saranno liberi di fare ciò che meglio credono, tramite asta o con trattative private». In questo caso si distingue tra i beni del «patrimonio disponibile» (c’è di tutto: appartamenti e boschi, rifugi e castelli, vecchie stazioni ferroviarie, terreni e garage, in tutto 721 asset di cui 121 sono già stati richiesti, 20 dal solo Comune di Venezia; l’elenco completo è disponibile sul sito dell’Agenzia del demanio) e i beni del «demanio artistico e storico», 80 palazzi che sull’esempio di quanto già fatto all’ex carcere San Biagio di Vicenza potranno essere restituiti a nuova vita d’intesa con le amministrazioni comunali e i privati.
Infine, il patrimonio della Difesa. Qualcosa è già stato «valorizzato», come il Forte Santa Caterina (ora nelle mani del Comune di Verona), «ma molto può essere ancora ceduto – postilla Baretta – e si tratta di strutture davvero interessanti, visto che nella maggior parte si trovano in pieno centro o comunque a ridosso delle città». Come l’ex caserma Salsa a Treviso, appena occupata dal collettivo Ztl che ne vorrebbe fare un centro sociale. Nel Bellunese, in particolare, c’è un vero e proprio tesoro, che è poi il lascito della Grande Guerra, mentre nel Vicentino, nella zona collinare di Longare, fa capolino dall’elenco «l’area esterna del sito Pluto». Ma forse in questo caso prima di comprare converrebbe fare due chiacchiere con gli americani della vicina base militare: ci tenevano le testate nucleari, meglio evitare sorprese.
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 16 novembre 2013