In genere le crisi allargano le differenze territoriali. Ma il colpo del Covid ha avuto l’effetto contrario, almeno nella radiografia offerta dall’Irpef. Pandemia, lockdown e ripresa a singhiozzo nell’Italia a colori hanno tagliato nel 2020 i redditi nelle regioni del Nord con un’intensità dieci volte maggiore rispetto al Sud: dove, anzi, alcuni territori hanno visto crescere gli imponibili rispetto all’anno prima.
I numeri
Le cifre emergono dagli open data sulle dichiarazioni 2021 appena messi a disposizione dal dipartimento Finanze. E misurano il fenomeno evidente del crollo dei redditi settentrionali.
I 20,04 milioni di contribuenti che vivono fra Alto-Adige ed Emilia-Romagna hanno denunciato un reddito medio da 23.828 euro, con una flessione dell’1,45% rispetto ai 24.175 euro dell’anno precedente. A Sud invece l’imponibile medio è rimasto praticamente invariato attestandosi a 17.256 euro, 27 euro sotto i livelli raggiunti nei dodici mesi precedenti. Risultato: nel Mezzogiorno la flessione è stata dello 0,15%, cioè 9,53 volte meno intensa di quella registrata a Nord. E il reddito pro capite è passato dal 71,5% al 72,4% di quello settentrionale.
Il quadro complessivo
I numeri sono eloquenti nelle loro indicazioni chiave. Primo: il calo dei redditi cumulati dagli italiani, passati dagli 884,5 miliardi del 2019 agli 865,1 del 2020, è stato significativo, del 2,19%, ma assai più morbido rispetto alla caduta dell’economia che ha visto il Pil assottigliarsi dell’8,9%: merito della consistente rete di protezione sociale che ancora filtra le ricadute della congiuntura sulla condizione dei singoli, e che nel corso del 2020 (e del 2021) è stata rafforzata da una pioggia continua di aiuti. In termini medi procapite la frenata è risultata ancora più leggera, poco sopra l’1%, perché l’evaporazione dei redditi ha ridotto di 466mila persone la platea dei contribuenti con imponibili Irpef.
La geografia delle perdite
Nella sua declinazione territoriale, il colpo è però parecchio differenziato. Toscana e Lombardia accusano la caduta più secca, con una riduzione del reddito medio rispettivamente dell’1,96% e dell’1,75%; identica la situazione in Valle d’Aosta (-1,74%). E le tinte sono scure anche nei panorami di Veneto (1,62%), Liguria (-1,36%), Piemonte (-1,29%) ed Emilia Romagna (-1,13%). In cinque regioni italiane, invece, la gelata del 2020 non sembra invece aver lasciato strascichi sui redditi medi dichiarati: si tratta di Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Basilicata, dove il confronto con l’anno prima si sintetizza in un dato positivo, dal +0,12% della Puglia al +0,78% lucano. Come mai?
Le cause
Le dinamiche che guidano i redditi Irpef sono complesse. Ma determinante è la differente struttura socio-economica dei territori. In sintesi estrema, i blocchi a ripetizione dell’attività hanno colpito soprattutto autonomi e dipendenti privati. I cedolini di dipendenti pubblici e pensionati sono invece rimasti al riparo dalla gelata, e lo stesso è accaduto alle integrazioni assistenziali come ad esempio le pensioni di invalidità. Dove l’incidenza delle entrate “protette” è maggiore, l’effetto del Covid si è sentito meno sull’Irpef; dove è maggiore il peso di autonomi e dipendenti privati, il segno meno è più evidente.
Naturalmente l’Irpef dice molto ma non dice tutto, in particolare dalle parti degli autonomi dove i contributi a fondo perduto hanno compensato parzialmente la caduta dei fatturati e dove l’intreccio con la tassa piatta esclude una quota di attività dalla lente dell’Irpef. Ma siccome proprio il lavoro autonomo è stato il più esposto alla brusca virata prodotta dalla pandemia, un conteggio allargato alla tassa piatta con molte probabilità accentuerebbe ulteriormente le flessioni e le dinamiche territoriali indicate dall’Irpef.
Nelle città
Quando si scende nel dettaglio dei dati comunali si incontrano poi i numeri di un’altra vittima della crisi pandemica: il turismo con il suo indotto. La città in cui la curva dei redditi disegna la parabola più accentuata è Venezia, che in un solo anno registra una riduzione del 4,36% nell’imponibile pro capite, facendo quattro volte peggio rispetto alla media nazionale. Anche l’altra regina italiana del turismo, Firenze, si trova ai piani più alti nella graduatoria della crisi con il suo -1,98%. E fuori dai grandi centri i numeri si fanno più estremi, dando ai Comuni turistici il monopolio delle prime posizioni nella classifica delle perdite: a Positano, gioiello della Costiera Amalfitana, il reddito medio è crollato nel 2020 del 35,34%, sprofondando a 16.582 euro; a Limone sul Garda la caduta è del 21%, a Monterotondo Marittimo (in Maremma) e a Praiano (sempre in Costiera) supera il 20%, a Santo Stefano al Mare in Liguria è del 18,97% e a Monterosso al Mare, nelle Cinque Terre, è del 17,9% mentre a Capri e Anacapri oscilla fra il 15,45% e il 16,94%.
Ci sono però anche 54 capoluoghi che hanno concluso il terribile 2020 con un incremento del reddito medio: sono tutte città medio-piccole, sono quasi tutte al Sud e la loro lepre è Campobasso con un +1,69%.