Repubblica. Due terzi dei contribuenti possono brindare alla revisione dell’Irpef e delle detrazioni, in particolare se hanno redditi medio-alti. In 370mila rischiano di perdere qualcosa. Ecco come si spartiscono i 7 miliardi di risorse che puntellano i primi passi della riforma fiscale entrata nella Manovra e che planerà da marzo nelle buste paga. A simulare l’impatto è un recente studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che ha il pregio di stimare quel che accade ai contribuenti reali, ovvero in base alle caratteristiche della popolazione, delle famiglie e dei diversi redditi percepiti.
Il mix di interventi — riduzione da 5 a 4 scaglioni, taglio di cinque punti delle due aliquote centrali dal 27 al 25% e dal 38 al 35%, revisione delle detrazioni con incorporazione del bonus da 100 euro — elimina importanti distorsioni, come il picco di aliquota marginale al 60% per i redditi tra 35 e 40mila euro. In media comporta una riduzione del peso del fisco di 264 euro a testa per 27,8 milioni di contribuenti, due terzi del totale. C’è una fetta di popolazione (il 34%) indifferente alle misure. E c’è una piccola quota (lo 0,9%) di chi va incontro a un incremento d’imposta, pur considerando la clausola di salvaguardia per i redditi bassi: 372mila persone che perderanno 188 euro.
Questo tilt , spiega l’Autorità dei conti pubblici, si deve alla differenza tra reddito imponibile e complessivo. Sul primo si calcolano le imposte; sul secondo le detrazioni. Se un contribuente ha solo redditi da lavoro o da pensione, l’effetto della riforma è positivo perché la riduzione delle aliquote è sempre in grado di compensare il calo delle detrazioni. Ma se sono presenti altri redditi, in particolare quelli da cedolare secca, si genera un «disallineamento » tra i due effetti e in qualche caso il saldo può esser negativo.
L’Upb approfondisce poi l’analisi per tipologia di reddito e inquadramento. I lavoratori dipendenti hanno un beneficio maggiore (190 euro) di pensionati (178) e autonomi (105). Tra i primi, la riduzione d’imposta è più elevata per i dirigenti (368 euro), che per impiegati (266) e operai (162). Se si guarda all’incidenza del beneficio fiscale sul reddito, la prospettiva si ribalta: è intorno all’1% per impiegati e operai e scende allo 0,3% per i dirigenti.
Un altro modo per pesare gli effetti distributivi della riforma è di vedere come si modula il beneficio al variare del reddito. La metà dei contribuenti avvantaggiati registra un sollievo minore di 185 euro, mentre un contribuente su otto sale oltre 500 euro. Il record di vantaggi fiscali (765 euro) lo incassa chi ha un imponibile tra i 42 e i 54mila euro (3.500-4.500 euro mensili). Non a caso qui, dove sta il 3,3% della platea, piove il 14,1% delle risorse: 1 miliardo. Tra i redditi più bassi, è l’incremento delle detrazioni a generare quel guadagno da 229 euro che si ritrova nella fascia tra 12 e 18mila euro e non nelle fasce attigue.
Un richiamo, infine, emerge quando si inseriscono gli individui nel loro nucleo: al 50% delle famiglie più povero va un quarto delle risorse complessive (1,9 miliardi), mentre il 10% più ricco gode di 1,6 miliardi. E c’è un 20% delle famiglie, quelle più disagiate, che per effetto dell’incapienza non ha benefici. Motivo per cui — dice l’Upb — «se le future politiche sociali vorranno sostenere i redditi delle famiglie più povere dovranno affidarsi a strumenti diversi dall’Irpef, quali trasferimenti monetari diretti o meccanismi di imposta negativ a».