Alberto Mattioli. Non solo guerre, epidemie e carestie. La nuova frontiera dell’emergenza è l’Italia. Emergency lancia una raccolta di fondi (fino al 17 aprile, donazioni via sms o chiamata al 45565) per il suo Programma Italia. Sorpresa generale: l’ong di Gino Strada chiede aiuto per intervenire in Italia dove 11 milioni di persone, stranieri ma anche italiani, non hanno accesso alle cure. Una su sei, secondo il Censis.
Sorpresa in realtà ingiustificata, perché Emergency lavora «in casa» già da dieci anni. Iniziò con il Poliambulatorio aperto a Palermo nel 2006 per garantire l’assistenza sanitaria ai migranti. Poi sono venute le strutture di Marghera, Napoli, Castel Volturno, Brescia, Polistena, Bologna, Sassari e i centri di accoglienza della Sicilia. E Milano, la ricca, civile, moderna Milano, motore del Paese? Qui dall’agosto 2015 funziona un ambulatorio mobile. Era stato pensato per gli immigrati, ma con il tempo si è scoperto che gli si rivolgevano anche gli italiani.
L’ambulatorio gira per la aree più disagiate della metropoli (Lorenteggio, piazza Prealpi, la Centrale, San Siro) con una media di 40 prestazioni al giorno. Nella classifica degli assistiti per nazionalità, gli italiani sono quarti dopo egiziani, marocchini e romeni. Adesso servono un altro ambulatorio mobile e un centro di orientamento sociosanitario, per spiegare a gente tagliata fuori anche dall’informazione a chi rivolgersi. «Ci sono prestazioni che possono essere già fatte da noi, come misurare la pressione o la glicemia o le iniezioni – spiega la presidentessa Cecilia Strada, figlia di Gino -. Per altre è invece necessario approfondire, orientando il paziente e accompagnandolo fisicamente alle visite».
«Gli italiani? Con la crisi, sono in continuo aumento», constata Marta Carraro, responsabile del Poliambulatorio di Marghera aperto nel ’15, con quattro mediatori e due assistenti alla poltrona stipendiati e circa 150 volontari fra medici, infermieri e odontoiatri che si organizzano per i turni, «adesso abbiamo un dentista che è venuto apposta da Palermo a passare tutta la settimana qui».
Gli italiani assistiti da Emergency sono divisi in due categorie. Nella prima ci sono i quelli che la tessera sanitaria l’hanno ma che sono in situazione «di fragilità economica», come la chiama Carraro. Il loro Indicatore della Situazione Economica inferiore agli 8.500 euro l’anno li rende, secondo i parametri della Regione Veneto, «vulnerabili». «A loro procuriamo gratuitamente gli occhiali, che il Ssn non passa, e la dentiera, che il Ssn passa ma facendosi rimborsare il costo del materiale, almeno 700 euro». Poi c’è la seconda categoria, quella cui vengono offerte tutte le prestazioni. Sono quelli che non sono coperti dal Ssn perché non hanno più la residenza, e magari vivono in strada.
Le storie sono terribili, da romanzo di Steinbeck. C’è il mastro vetraio che ha dovuto chiudere l’attività che la famiglia aveva da generazioni, che ha trovato un altro lavoro, che l’ha perduto perché la fabbrichetta ha chiuso e che da allora non ha più lavorato. C’è il 35enne gravemente cardiopatico che ha perso i genitori e il fratello, non poteva più pagare l’affitto, «e dopo tre anni che era per la strada siamo finalmente riusciti a fargli assegnare una residenza fittizia dal Comune di Venezia, così almeno ha la tessera e può ricorrere ai servizi sociali». Ci sono i divorziati sbattuti fuori di casa, ma che non possono permettersi di pagare un affitto perché nel frattempo magari hanno perso il posto. È un popolo di invisibili, gente che aveva un lavoro, una famiglia, una casa, poi ha perso tutto ed è sparita per la burocrazia, quindi non compare neanche nelle statistiche. «Spesso si vergognano, non vogliono che contattiamo i famigliari, non vogliono che si sappia. È terribile, perché capisci che può davvero capitare a chiunque».
I costi, non solo sociali, sono altissimi. Spiega Carraro: «Noi non vogliamo sostituirci al Ssn, ma aiutare la gente ad accedervi. Anche perché la situazione sanitaria di chi è senza cure ovviamente peggiora e alla fine spesso l’unica possibilità è il pronto soccorso. Quindi alla fine il danno è doppio: sta peggio il malato e curarlo costa di più».
La Stampa – 20 ottobre 2016