L’uomo, chiamato da un’anziana, è salito su un albero e caduto da 5 metri
Un vigile del fuoco rimarrà invalido per il resto della vita per aver cercato di salvare un gattino che non riusciva a scendere da un albero, in un quartiere di Padova. Un danno al quale ora si aggiunge la beffa, perché nei giorni scorsi la Cassazione gli ha negato il diritto ai benefici della legge per le «vittime del dovere». Il motivo – che ha dell’incredibile – l’avevano già messo nero su bianco i giudici della Corte d’appello di Venezia: il pompiere non è in grado di dimostrare che il micio fosse effettivamente in pericolo di vita.
Il fattaccio – così come ricostruito in prima istanza di fronte al tribunale di Padova – risale al settembre del 2005, quando una signora chiese aiuto per far scendere da un ramo il suo gattino. Tra i mille motivi per i quali i cittadini invocano l’intervento dei vigili del fuoco, c’è anche questo. E così, in zona fu spedita una squadra della quale faceva parte anche il ricorrente. Il felino – si legge nella sentenza veneziana – «arrampicatosi a circa cinque metri di altezza, non era più in grado di scendere». Il soccorritore era quindi salito su una scala «nel tentativo di raggiungere l’animale e riusciva ad afferrarlo, quando improvvisamente il ramo dell’albero al quale era appoggiato si rompeva ed egli precipitava al suolo». Nella caduta, il pompiere aveva rimediato delle ferite che hanno causato una (per fortuna lieve) invalidità.
In primo grado, il tribunale di Padova non aveva avuto alcun dubbio: «Tra le attività dei vigili del fuoco rientra anche il salvataggio di animali (…) per cui l’evento che si verificava (l’infortunio, ndr ) merita una speciale tutela, visto il nesso di casualità tra il fatto e l’azione di soccorso». Il ministero dell’Interno, però, presentò ricorso in appello per una serie di motivi. «Il recupero di un gatto nascosto in un albero – sostennero gli avvocati del Viminale – non è qualificabile come operazione di soccorso» perché «la nozione di soccorso implica il riferimento al salvataggio di un essere umano». Inoltre, il ministero si disse convinto che «non era a rischio l’incolumità del gatto, l’intervento era mirato unicamente ad aiutarlo a scendere, non a soccorrere un essere in situazione di imminente pericolo». Insomma – è la tesi – un conto è il vigile del fuoco ferito nel tentativo di salvare una persona, ben diverso chi rischia la vita per aiutare un gattino in difficoltà.
Ebbene, ora la Cassazione ha confermato la sentenza con la quale la corte d’Appello ribaltò la decisione di primo grado: pur ammettendo che la legge «non distingue tra il soccorso di esseri umani e di animali», il vigile del fuoco non ha comunque diritto a essere riconosciuto come «vittima del dovere» perché non ha saputo dimostrare «che il gatto fosse in pericolo, la circostanza non può essere presunta solo per il fatto che lo stesso si era arrampicato fino a cinque metri, essendo notorio che i gatti sono animali in grado di arrampicarsi». Insomma, tocca al pompiere dimostrare che il micio «rischiasse in concreto di perdere l’equilibrio e cadere dall’alto» e che quindi «vi erano gli elementi necessari a qualificare l’intervento come operazione di soccorso di animale in pericolo» e non come un banale «ausilio della discesa dell’animale».
La Cassazione dice che la sentenza veneziana è inappuntabile, e quindi non solo rigetta il ricorso del vigile del fuoco ma lo condanna pure a pagare duemila euro di spese. «La Suprema corte – spiega l’avvocato Andrea Bava, che ha assistito il ricorrente – ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto mancasse la prova dello stato di pericolo del micio. Fa quasi sorridere la constatazione secondo la quale non vi era la prova che l’animale rischiasse la vita: non avrei mai pensato di dover documentare lo stato d’animo di un gattino, per dimostrare che si sentisse soggettivamente in pericolo. Forse – conclude il legale con una battuta – occorreva che miagolasse “aiuto”».
corveneto