Intervista del Gazzettino a Massimo Castagnaro, preside della facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Padova. Recenti stime calcolano che in Italia vi siano circa 28 mila veterinari. Negli ultimi dieci anni la crescita è stata circa del 33%. Nel nostro Paese, le facoltà di Veterinaria risulterebbero 15, quando in Europa sono 69 in tutto. È una situazione destinata a conseguenze poco felici per gli studenti, professore Castagnaro? «Occorre precisare alcuni numeri. I corsi di laurea in Medicina Veterinaria attualmente attivati in Italia sono 13 (Torino, Milano, Padova, Bologna, Parma, Pisa, Camerino, Perugia, Teramo, Napoli, Bari, Messina e Sassari) e non 15 come dichiarato da più parti. Inoltre la comparazione tra numeri di facoltà e numero di studenti immatricolati può essere notevolmente fuorviante».
Cosa vuol dire?
«Mi spiego meglio. Se compariamo ad esempio il numero di corsi di laurea in Germania (5) con quello in Italia (13) si potrebbe avere l’immagine sbagliata che il numero di studenti iscritti in Italia sia superiore di 2,5 volte. In realtà la situazione è piuttosto diversa, perché in ogni corso di laurea in Germania vengono iscritti molti più studenti che da noi. Ad esempio, solo a Monaco sono iscritti circa 300 studenti, un terzo di tutti gli studenti iscritti ai corsi di laurea in Italia. Di fatto quindi il numero di studenti iscritti in Germania ed in Italia è sostanzialmente simile».
Resta comunque un gran numero…
«Relativamente all’impatto di questi iscritti sulla professione, in Italia la situazione è differenziata regione per regione, in quanto la distribuzione dei quasi 28 mila veterinari non è omogenea. Se ad esempio utilizziamo il rapporto numero di veterinari ogni 1000 abitanti come indicatore, possiamo chiaramente vedere che esistono regioni con un rapporto ben al di sopra di altri Paesi europei di riferimento (Francia 0,25; Regno Unito 0,38; Germania 0,43) come Umbria (0,92), Sardegna (0,82), Valle D’Aosta (0,78), Emilia Romagna (0,70), Piemonte (0,60), accanto a situazioni molto più vicine ai dati europei come Puglia (0,31), Liguria (0,34), Trentino Alto Adige (0,36) o Veneto (0,38)».
Numeri dettati da un qualche tipo di programmazione?
«Per sapere esattamente quale sarà la situazione futura bisogna valutare la distribuzione per fasce d’età della popolazione veterinaria. Alcuni dati ad esempio indicano che circa la metà dei Medici Veterinari iscritti agli Ordini si sia iscritto ai corsi di laurea in Medicina Veterinaria prima dell’avvento del numero chiuso (1988) ed abbia quindi un’età compresa tra 45 e 55 anni; per cui ci si può aspettare che la tendenza a crescere del numero dei veterinari si fermi, ed inizi una decisa tendenza alla diminuzione».
Un futuro, insomma, non solo a tinte fosche?
«Beh, bisogna confermare che, come accade per altre professioni, in questo momento per il medico veterinario indirizzato al settore clinico gli sbocchi occupazionali sono molto saturi».
Dei 28 mila veterinari, circa 20 mila sono liberi professionisti, ma poco meno della metà di questi denunciano redditi insignificanti. Si tratta di disoccupazione o di sfruttamento dei giovani laureati?
«È evidente che in una situazione di mercato dove vi è più offerta che domanda di lavoro il prezzo del lavoro scende. È anche noto che, in una situazione di sottoccupazione, possono anche proliferare atteggiamenti di sfruttamento di chi deve entrare nel mercato del lavoro. Ma non ho tuttavia elementi specifici in merito».
Può fornire qualche numero per Padova? Quanti iscritti alla facoltà, che percentuale di laureati, l’occupazione ad uno-due-tre anni dalla laurea?
«Per molti aspetti, Padova è in una situazione di eccellenza nazionale. Da molti anni ci muoviamo tra il primo ed i secondo posto delle classifiche Censis per la facoltà di Medicina Veterinaria. Inoltre nel maggio 2010 abbiamo ricevuto l’approvazione completa da parte dell’European Association for Establishment of Veterinary Education (EAEVE), l’Ente Europeo che certifica gli standard didattici delle Facoltà del Continente. Risultati frutto di una politica della facoltà volta ad avere numeri bassi ed alta qualità della formazione».
Ma questi numeri?
«Gli iscrivibili al corso di laurea in Medicina Veterinaria sono 65, a fronte di quasi 800 domande. Questo fa sì che il voto soglia per entrare a Padova sia il più alto d’Italia e, di conseguenza, gli studenti iscritti da noi rappresentino un capitale umano eccellente. La percentuale degli studenti che si laureano è sempre superiore al 90%, con un tempo medio di laurea di 6,5 anni, uno dei più bassi d’Italia».
L’occupazione post-laurea?
«Secondo i dati Alma Laurea, il tasso di occupazione ad un anno dalla laurea è del 70,4% con un tempo medio di tempo dall’inizio della ricerca al reperimento del primo lavoro di 2,2 mesi».
Secondo lei, i numeri programmati sono da rivedere?
«Se si tiene in considerazione che la facoltà è l’unica del Nord-Est, il numero di 65 iscrivibili ogni anno è adeguato. Diversa è la situazione a livello nazionale, dove probabilmente esistono invece situazioni critiche».
La corsa alla facoltà è dovuta anche al miraggio della libera professione, magari dedicata agli animali di piccola taglia e d’affezione?
«La popolazione studentesca che entra al corso di laurea in Medicina Veterinaria proviene in larga maggioranza da aree urbane, ed ha una composizione femminile per l’80%. Molti dei futuri veterinari effettivamente sono indirizzati inizialmente alla clinica dei piccoli animali».
Ed è giusto così?
«No, è una tendenza che deve evidentemente essere messa in discussione alla luce dei dati che prima abbiamo dato. Per affrontare questo problema importante, da qualche anno abbiamo proposto all’interno del corso di laurea un curriculum volto alla conoscenza della sicurezza alimentare, uno dei settori più promettenti e più sconosciuti alle matricole veterinarie».
Una proposta che ha avuto successo?
«Con nostra grande sorpresa, quasi la metà dei nostri studenti ha scelto proprio quel percorso. Per chi rimane invece ancora convinto della scelta clinica, prospettiamo la possibilità di percorsi post-lauream di specializzazione europea, in college europei di specialità. La figura del medico veterinario clinico “generalista” in Italia non ha attualmente sbocchi professionali».
Che possibilità di inserimento offre la sanità veterinaria pubblica?
«La sanità pubblica, non solo quella strettamente legata al servizio sanitario nazionale, ed in modo particolare il settore della sicurezza nella filiera alimentare, ha grandissime potenzialità. La figura del medico veterinario come garante della sicurezza alimentare dei consumatori è il vero settore lavorativo del futuro».
Si ricomincia a parlare del tirocinio postlaurea obbligatorio. Sarebbe utile?
«A mio avviso l’idea di un tirocinio postlaurea è vecchia: deriva da una visione della didattica dei corsi di laurea in Medicina Veterinaria così come veniva fatta diversi anni fa. Attualmente gli studenti a Padova devono fare un tirocinio obbligatorio di 45 crediti (1125 ore) suddivisi in gruppi di 4 studenti, in modo tale da fornire loro le abilità necessarie per il primo giorno di lavoro (“day one skill”). Infine, oltre che nelle strutture della Facoltà (Ospedale Veterinario), molte delle ore di tirocinio vengono già svolte presso strutture private o liberi professionisti convenzionati sotto la diretta verifica degli organismi competenti della Facoltà. Un coinvolgimento di veterinari esterni che è già stato molto apprezzato dalla Commissione EAEVE».
LA SCHEDA – CHI E’ MASSIMO CASTAGNARO
Massimo Castagnaro è nato a Sona (Verona) nel ’58. Si laureò a Torino nel 1982 (110/110, lode e dignità di stampa). Dal 2003 è preside della facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Padova. Nel 1998 fu nominato professore associato all’Istituto di Patologia ed Igiene Veterinaria, Università di Padova. Poco dopo divenne direttore del Servizio di Istopatologia e Citopatologia Veterinaria presso l’Istituto di Patologia ed Igiene Veterinaria. Nel 2001 la nomina a direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica, Patologia Comparata ed Igiene Veterinaria, Università di Padova. Castagnaro è stato anche chiamato a presiedere una delle cinque sezioni in cui è articolato il rinnovato Consiglio superiore di Sanità. Castagnaro dirige il quarto settore del massimo organo di consulenza del governo in materia sanitaria. Il preside si occuperà in particolare di nutrizione, alimenti e sicurezza alimentare, animali e veterinaria. Infine, Castagnaro è stato anche nominato nell’Anvur, l’organismo nazionale di valutazione degli Atenei. I sette commissari valuteranno se le Università spendono bene le risorse e se producono ricerca. Castagnaro è l’unico rappresentante degli atenei del Veneto all’interno dell’Anvur.
di Alberto Beggiolini
Il Gazzettino di Padova – 5 aprile 2011
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