Arriva il momento in cui lo senti: c’è qualcosa di profondamente giusto da fare e lo fai, senza curarti delle conseguenze. È così che il mondo progredisce, con degli atti di coraggio. Come quello di Ilaria Capua. Virologa dell’ “Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie” di Padova, nel 2006 disobbedì all’Oms-Organizzazione mondiale della sanità che le chiedeva di depositare i dati della variante africana del virus H5N1 dell’aviaria – da lei scoperto – in una banca dati in cui potevano avere accesso solo 20 laboratori. Invece mise tutto in rete invitando i colleghi a fare altrettanto. E ha vinto: grazie a lei da poco l’Oms ha finalmente dato il via libera all’accesso alle informazioni sui virus influenzali pandemici.
All’istituto padovano Ilaria Capua, 45 anni, oggi dirige il laboratorio di referenza nazionale dell’ Oms animale per l’influenza aviaria, e più recentemente ha individuato anche il virus A/H1N1 dell’influenza suina. Ha vinto numerosi premi tra i quali il prestigiosissimo “Revolutionary mind”. Paladina dell’open source, domani alle 10 all’ex Lanificio Conte a Schio parteciperà all’incontro del “Festival delle città impresa” sulle nuove frontiere della ricerca in rete.
Dottoressa Capua, ha mai pensato che quel gesto poteva costarle caro?
Nemmeno per un momento. È stato come un rilascio di energia. Era inaccettabile il sistema chiuso per accedere ai dati sui virus, non era più possibile che la burocrazia frenasse informazioni così importanti per la salute, così mi sono detta: “adesso vi faccio vedere io come si fa”. E ho messo tutto in rete.
Molti l’hanno seguita, altri aspramente criticata. Che le dicevano?
Che volevo solo fare carriera, avere visibilità. Ma io sapevo che lo facevo per rispetto della salute dei cittadini. I dati appartengono a loro, che pagano le nostre ricerche. Mi chiedevo: ma che direbbe la gente se sapesse che il nostro lavoro non è sfruttato al massimo? Molte volte gli scienziati vedono l’ago ma non il pagliaio, e il modo di gestire le informazioni era una forma di potere. Ma il sistema doveva trovare una nuova via.
La circolazione di queste informazioni è un’enorme opportunità. Ma come evitare i rischi?
Certo bisogna mettere dei paletti, serve una gestione controllata. Ma chi non osa fa un danno alla scienza. In un mondo dove anche le malattie sono globali le informazioni vanno condivise, le opportunità colte.
Influenza aviaria, suina… Si paventavano catastrofi che non ci sono state. Non è che sui vaccini ci marciano le lobby farmaceutiche?
Quando un virus fa un salto di specie non sai quanto aggressivo può essere, chi può colpire, ma sai quanto può essere contagioso. Una volta isolato è doveroso preparare un vaccino e qualsiasi Capo di Stato ha il dovere di metterlo a disposizione. Il vaccino contro la suina è arrivato tardi, ma se avesse contagiato gli adulti come ha colpito i bambini, il paese si sarebbe fermato. In famiglia ci siamo vaccinati tutti, e mia figlia è stata l’unica nella sua classe a non essersi ammalata.
Oggi non c’è più l’obbligo di vaccinarsi. Che ne pensa?
I vaccini vanno fatti. Non tanto e non solo come protezione propria, ma della comunità. In un mondo globale non è detto che non ci potremmo ammalare ancora di polio o di difterite.
Lei ha ricevuto molti premi, i più importanti però dall’estero: qui la questione del merito è sempre aperta. Ha mai avuto la tentazione del “cervello in fuga”?
Spesso. Potrei andarmene anche domani. In Italia è il contrario degli Usa, dove si spiana la strada ai più bravi perché i loro successi sono una vittoria per tutti. Però resto perché credo in quello che sto costruendo, voglio che il mio gruppo cresca: se me ne andassi via ora non ce la farebbe, e avrei buttato 10 anni di lavoro.
Altri tasti dolenti: i finanziamenti per la ricerca e i ricercatori. Da voi come va?
Per la ricerca in Italia si potrebbe fare di più, certo, però ci sono anche opportunità da cogliere fuori. Dei due milioni di euro l’anno per il mio laboratorio l’80% sono fondi europei. È possibile perché la direzione del dott. Igino Andrighetto ha reso l’istituto flessibile, dote che difetta agli enti pubblici. Vale anche per il gruppo di ricercatori con il quale condivido i successi. Eravamo in 8, in 13 anni siamo diventati 75, di cui 40 precari che però dopo i primi 3-4 anni sono stimolati a trovare loro stessi dei finanziamenti, come li trovo io, creando un circolo virtuoso per il lavoro loro e dell’istituto.
Nessun riconoscimento particolare dal ministero?
Devo dire che il ministro Fazio mi ha invogliato a restare impegnandosi a finanziare un progetto cui tengo moltissimo. Siamo ancora in trattative, però dovremmo trasferirci nei due piani della torre della ricerca che sta costruendo la “Città della Speranza” a Padova. L’approccio interdisciplinare è un’opportunità straordinaria per far progredire la ricerca: insieme potremmo costituire un’occasione per tutto il paese.
Lei è scienziata, è sposata con uno scozzese e avete una bimba di quasi sette anni. Che dice alle donne che non riescono a fare carriera?
Che spesso sono loro stesse la causa del loro male, e che devono liberarsi di retaggi culturali, sensi colpa e inadeguatezza. Se credono in una cosa devono volerla fino in fondo. Cominciando col non fare maternità che durino un anno.
Il Giornale di Vicenza – Cinzia Zuccon Morgani
29 aprile 2011