A fine ottobre è scaduta la proroga del termine per inviare domanda di partecipazione alla selezione per l’iscrizione nell’elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. In altre parole, si tratta del primo passo per la costituzione dell’Albo nazionale dei direttori generali della sanità: pool di nomi tra i quali i presidenti delle Regioni selezioneranno i manager delle proprie aziende. Riforma controversa, che rischia di aprire una pioggia di ricorsi.
A questa riforma va riconosciuto il merito di aver messo al centro lo sviluppo di un mercato nazionale dei manager della sanità, oggi piuttosto debole: una ricerca del Cergas Bocconi (Oasi 2015) rileva che solo il 16% dei direttori generali ha avuto esperienze di vertice in altre regioni. Eppure, la necessità di andare verso un bacino di reclutamento interregionale è dato dalle evoluzioni degli assetti istituzionali: dopo fusioni e accorpamenti, le aziende sanitarie sono sempre di meno (le Asl erano 197 nel 2001 e sono oggi 120, le aziende ospedaliere erano 97 nel 2010 e ora sono 42), sempre più grandi (le Asl sono cresciute in media del 72% arrivando a 500mila abitanti e a bilanci di oltre 800 milioni annui) e sempre più caratterizzate da sfide specifiche. Di top manager della sanità ne servono di meno, ma più capaci e specializzati di prima.
Purtroppo, questa intuizione si infrange contro le scelte fatte nel bando: requisiti formali e selezione per titoli, al posto di un modello di leadership e di strumenti più evoluti di osservazione delle competenze. Tra i requisiti di accesso c’è la frequenza dei corsi di organizzazione sanitaria delle regioni, frequentati per lo più da dirigenti pubblici. Un criterio che impedisce nei fatti ai manager della sanità privata di candidarsi.
Per chi è ammesso alla selezione, i criteri di valutazione si articolano in esperienze e titoli. Nella valutazione dell’esperienza si tenta di dare valore alle competenze manageriali acquisite sul campo e pesate in base alle risorse umane ed economiche gestite. Positiva è la scelta di incrementare il punteggio per chi ha gestito «una struttura sanitaria pubblica che ha raggiunto gli obiettivi economico-finanziari e di salute assegnati dalle regioni». Ma il fatto che gli strumenti di misurazione dei risultati cambino da regione a regione rischia di produrre l’effetto di premiare chi valuta meno severamente, più di chi raggiunge risultati più sfidanti. Ma è comunque un segnale.
Qui finiscono le buone notizie: il peso dell’esperienza e delle performance è molto timido e non è calibrato sull’età del candidato, penalizzando di fatto i più giovani. Questo è grave per un sistema con una classe dirigente con un’anzianità di servizio avanzata. Ma la notizia più scoraggiante è che i punti decisivi per raggiungere la soglia per l’ammissione si raccolgono nelle università: si rischia di premiare gli accumulatori di titoli più della qualità formativa, la carriera accademica più della pratica manageriale, l’appartenenza a una specifica professione sanitaria più dell’attitudine al ruolo.
In sintesi, il profilo ideale che emerge dal bando è: dirigente anziano, da sempre nella sanità pubblica, accumulatore di titoli formativi, meglio se docente universitario e autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Il profilo più difficilmente intercettato è invece il giovane manager, con una formazione manageriale solida e di qualità e un’esperienza gestionale nella sanità, pubblica o privata, o in settori contigui.
Il Ssn ha invece bisogno di coltivare un ampio e preparato bacino nazionale di manager della sanità, di promuovere la mobilità di competenze gestionali, da privato a pubblico e viceversa, di utilizzare meglio le informazioni di performance nei processi di selezione, di generare e promuovere un vivaio di giovani talenti anche attraverso il rinnovamento della dirigenza intermedia delle aziende. Per arrivare lì occorre ripensare le politiche di reclutamento e sviluppo della leadership sanitaria e rinnovare in chiave meno burocratica e più contemporanea gli strumenti di selezione, formazione, valutazione e ricompensa dei dirigenti. Insomma, meno burocrazia e più management.
Francesco Longo è associato di Economia delle aziende e amministrazioni pubbliche all’università Bocconi. Raffaella Saporito è docente di Public Management and Policy della SDA Bocconi .
Francesco Longo e Raffaella Saporito – Il Sole 24 Ore – 13 novembre 2017