Un buco da 12,8 miliardi di euro nei conti del 2013 e altrettante perdite previste quest’anno. Per un totale che, se si somma l’ammanco già registrato nel 2012, fa quasi 38 miliardi di rosso nel triennio che si chiuderà a dicembre. Eccola la prima grana che il nuovo commissario dell’Inps, Tiziano Treu, dovrà affrontare a stretto giro. Il rendiconto definitivo sui conti del 2013 sarà presto reso pubblico, ma “l’Espresso” ha avuto modo di vedere in anteprima i numeri dell’Inps. Il quadro che ne esce non è certo incoraggiante e mostra un sistema pensionistico italiano che, nonostante gli aggiustamenti lacrime e sangue apportati dall’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero, fa acqua da tutte le parti. Il motivo? Principalmente è questo: in Italia ci sono 21,8 milioni di contribuenti e 21 milioni di pensioni da pagare, praticamente un rapporto uno a uno.
Ecco perché gli oltre 200 miliardi che i lavoratori hanno versato nelle casse dell’Inps nel 2013 non sono bastati a finanziare l’intero sistema. Lo Stato ci ha quindi messo altri 114 miliardi, che peraltro servono per pagare gli assegni di invalidità, i contributi di sostegno al reddito e quelli di accompagnamento. E, ancora, la mobilità per chi ha perso il posto di lavoro, le quote della cassa integrazione a carico dello Stato e molto altro ancora.
La gestione annuale dell’Inps
I 12,8 miliardi di euro persi lo scorso anno, sono imputabili in particolare ai trattamenti previdenziali di alcune categorie di lavoratori, fuori controllo da molto tempo. Ad esempio gliartigiani, che contribuiscono meno di tutti gli altri lavoratori al pagamento delle pensioni e hanno creato un buco da 6,4 miliardi nei conti dell’Inps.
Il fondo dei coltivatori diretti ha perso 5,1 miliardi (e, a dirla tutta, lo Stato dal 1989 a oggi ha speso di tasca propria 140 miliardi per pagare i contributi agli agricoltori, generando una fetta non indifferente del debito pubblico italiano).
Il fondo dei lavoratori del settore dei telefoni (prima pubblici, ora privati), degli elettrici e degli addetti al comparto dei trasporti perde 4,2 miliardi, mentre da soli i manager in pensione fanno piangere la loro cassa per 3,8 miliardi. Va male anche per i commercianti, dove l’ammanco è di 1,6 miliardi.
Gli unici due fondi in attivo sono quelli dei dipendenti delle aziende private, che nel 2013 hanno accumulato un tesoretto da 4,4 miliardi e soprattutto i precari che versano i loro contributi nella gestione dei parasubordinati e hanno risparmiato ben 8,5 miliardi. Peccato che tutti quei soldini messi nel salvadanaio dell’Inps non ci sono già più, perché le casse dell’Istituto funzionano come un vaso comunicante e le “formiche”, cioè i collaboratori a progetto, le (finte) partite Iva e tutti coloro che non hanno un contratto stabile, pagano per le perdite di tutti gli altri fondi in rosso.
E non è finita qui, perché per meglio compensare il rosso delle altre gestioni, Inps e governo hanno deciso che dal 2018 i precari dovranno versare il 33 per cento del loro stipendio all’Inps, mentre oggi la loro aliquota si ferma al 27. Per di più, quando i parasubordinati andranno in pensione, si ritroveranno con un assegno molto misero. La maggior parte dei soldi versati dai precari serviranno a coprire le voragini create dalle dissestate casse degli ex dipendenti pubblici, che chiudono il 2013 con quasi sei miliardi di disavanzo, ma che negli anni hanno accumulato perdite per 23,3 miliardi di euro.
I fondi
Il problema è che fino al 1995 gli statali non accantonavano alcuna pensione, perché lo Stato, semplicemente, si impegnava a mettere sul proprio libro paga i dipendenti finché morte non li avesse separati (a meno che non ci fosse la pensione di reversibilità per il coniuge). Poi è stata creata la loro cassa, l’Inpdap, confluita nell’Inps due anni fa. Ma lo Stato non ha saldato il proprio debito pregresso. E ci sono delle situazioni parecchio compromesse, come la cassa dei dipendenti dei Comuni e delle Provincie d’Italia, che è in perdita per 43,7 miliardi.
Altre casse dissestate sono quelle dei dipendenti delleFerrovie dello Stato, che costano allo Stato 4 miliardi l’anno. «Quando il governo ha avviato i piani di privatizzazione, ha mandato in prepensionamento parecchi dipendenti, che adesso pesano sui conti pubblici. Succede per gli ex ferrovieri, ma anche per i postali e per gli ex dipendenti di Alitalia. A conti fatti non so quanto convenga privatizzare e prepensionare i lavoratori», dice Gian Paolo Patta, membro del Civ, il consiglio di indirizzo e di vigilanza dell’Inps.
Comunque, le perdite del 2013 saranno compensate dal patrimonio dell’Inps, che quest’anno lo Stato ha provveduto a rimpinguare con lo specifico contributo di 21 miliardi di euro. «Ma al ritmo di una perdita media di 12 miliardi di euro l’anno, lo Stato sarà presto costretto a mettere nuovamente mano al portafogli per evitare che il patrimonio finisca sotto zero», commenta Patta, che a inizio settimana ha parlato con il nuovo commissario, Treu, elencando le problematiche dell’Istituto.
Infatti il consiglio di amministrazione dell’Istituto, che gestisce metà della spesa pubblica del Paese, è composto solo dal presidente-commissario, e quindi da Treu, mentre l’organismo di vigilanza è privo di potere. E poi c’è la questione dei conti, che continuano a essere in perdita. «Le coperture sono risicate e vista la brutta aria che tira è molto probabile che presto si torni a parlare di blocco dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita, ma anche di un contributo maggiore da parte delle pensioni più elevate», ipotizza Giuliano Cazzola, esperto di pensioni ed ex deputato del Pdl.
La Corte Costituzionale si è già espressa in proposito, dichiarando illegittima la richiesta di salvare le casse dell’Inps attingendo dalle pensioni elevate. C’è però un sistema per aggirare il problema: «L’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, aveva spiegato che la soluzione potrebbe venire dall’introduzione di otto aliquote dell’imposta sui redditi da plensione anziché quattro, che consentirebbero di arrivare fino al 70 per cento di tassazione per gli scaglioni più alti. Si tratta di una modifica in linea con quanto dichiara la Costituzione, tanto più che gli otto scaglioni esistevano già in passato ed erano stati ridotto a quattro dal governo Berlusconi», spiega Gian Paolo Patta.
Il nuovo commissario Treu ha già fatto capire di apprezzare le proposte dell’ex ministro Giovannini per mettere in linea i conti dell’Inps. Treu, in un’intervista al “Corriere della Sera”, aveva parlato della necessità di introdurre elementi di flessibilità sull’età pensionabile: «In Parlamento», aveva detto, «ci sono diverse proposte, anch’io ne avevo presentata una. Il governo le ha scartate perché costose. È stata invece istruita quella dell’ex ministro Enrico Giovannini dell’anticipo di una mini-pensione, che potrebbe essere richiesta dai lavoratori cui manchino 3 anni al raggiungimento dei requisiti di pensionamento e che poi verrebbe restituita in piccolissime rate sull’importo della pensione normale. Lo stesso ministro Giuliano Poletti è favorevole e, anche se questa proposta non è entrata nella legge di Stabilità, credo che debba essere recuperata nei prossimi mesi. Non costa molto e sarebbe utile, anche sul fronte dei potenziali esodati».
L’Espresso – 25 ottobre 2014